INTERVISTA A FEDERICO PISTONE – Direttore editoriale Polaris
Federico Pistone, giornalista del Corriere della Sera, è autore della guida Polaris “Mongolia: l’ultimo paradiso dei nomadi guerrieri”, da alcuni mesi si è unito allo staff della Casa Editrice anche come Direttore editoriale.
Raccontati in una battuta e qualche riga…
“Sono fortunato. Ho realizzato tutto quello che avrei voluto fare “da grande”: scrivo per il più importante giornale italiano, ho pubblicato libri sulle mie passioni più pure e ingenue (Inter, viaggi, Mongolia, scommesse, favole…) e ora sono anche editore e pure allenatore di calcio con tanto di patentino. E poi ho una massiccia gatta siberiana, Pepa, che mi dà l’ispirazione stendendosi sulla tastiera del computer con i suoi otto chili di peso, creando composizioni nonsense ma spesso più interessanti di quelle che avevo pensato.
Il tuo mondo: quali sono i tuoi luoghi dell’anima?
I luoghi dell’anima esistono sono dentro noi stessi, per definizione. Adoro il silenzio, perché l’anima vive di silenzi.
Gli autori e i libri di viaggio che ami di più.
Cito subito un libro Polaris, non per “contratto” ma per convinzione. “Viaggio in Siria” di Gertrude Bell, una viaggiatrice-spia di inizio Novecento che ci racconta il Medio Oriente con un linguaggio più moderno di quello degli attuali reporter. Appassionante. Non per nulla abbiamo affidato la prefazione al grande Ettore Mo mentre il regista Werner Herzog ne ha preso spunto per il film “Queen of the desert” con James Franco e Nicole Kidman, che uscirà nel 2015. Poi dico Luigi Barzini (non perdete “La metà del mondo vista da un’automobile” reportage irresistibile su un viaggio compiuto nel 1907 da Pechino a Parigi), “Viaggio in Italia” di Saviane, e l’Historia Mongalorum di Giovanni da Pian del Carpine (ma anche qui gioco in casa), narratore straordinario precedente a Marco Polo e molto più interessante e credibile del più celebrato veneziano. Chatwin? Troppo venerato.
Una definizione per la Casa Editrice Polaris.
Basta una parola? Allora: il coraggio. Quello che l’editore storico Daniele Bosi mantiene spudoratamente da venticinque anni. E continua ad avere ragione.
Parliamo delle guide, il cuore pulsante della Casa Editrice, ormai quasi cento titoli. Qual è l’aspetto che più connota e diversifica le guide Polaris dalle altre in commercio?
Le guide Polaris sono da consultare ma soprattutto da leggere come racconti. E soprattutto sono guide scritte da italiani per la sensibilità e le esigenze dei viaggiatori italiani, non sono tradotte da autori statunitensi o australiani che poco hanno a che fare con la nostra cultura, senza offesa. Ora abbiamo costruito una grafica e una tipografica molto più accattivanti, mantenendo l’eleganza originale unita però a una praticità che consente ai viaggiatori di utilizzare le guide Polaris come preziose compagne di avventure.
Parlaci delle nuove collane e dei nuovi traguardi che la Casa Editrice si pone per il futuro.
Non solo guide. La narrativa di viaggio Polaris si sta arricchendo di collane ad alto livello qualitativo. Ad esempio “La biblioteca di Lawrence”, reportage inediti di grandi viaggiatori del passato, come la Bell appunto, ma anche Mouhot, Amundsen e lo stesso Lawrence. Oppure “Per le vie del mondo”, piccoli gioielli di grandi scrittori e giornalisti. Cito per tutti l’inviata del Corriere della Sera Gaia Piccardi che ci ha “regalato” un appassionante “Giallo Francia – Un’inviata speciale sulle strade del Tour”. E tra le tante proposte, che potrete sfogliare anche sul nuovissimo sito www.polariseditore.it, vorrei citarne una davvero speciale: “A ruota libera”. È una collana dei luoghi d’arte studiata per i viaggiatori con difficoltà: uno strumento socialmente straordinario e mai pensato prima.
Chi scrive per Polaris?
Non basta viaggiare e saper scrivere in italiano. I nostri autori devono avere, oltre a una conoscenza perfetta del luogo descritto, anche una sensibilità tutta particolare, la chiamerei una “sensibilità Polaris”. Sempre sul sito, alla voce “Scrivi per noi” ho annotato alcuni appunti per spiegare come bisogna raccontare il viaggio, prima che gli aspiranti scrittori ci inondino di proposte onestamente insipide e certamente non degne di finire sotto il marchio Polaris. Bisogna essere onesti: non siamo un servizio sociale, non ci interessano gli sfoghi letterari o le velleità di chi pensa di essere uno scrittore e invece ha solo scritto qualcosa. E magari ha letto poco o niente, che è l’errore capitale. Ad ogni modo, ognuno può inviare i propri scritti a scrivipernoi@polariseditore.it. Li leggeremo volentieri, li prenderemo in considerazione, sperando di trovarci quello che i lettori Polaris sperano di trovare sempre nei libri che hanno fra le mani. Risponderemo a tutti, con sincerità.
Il futuro del viaggio e dell’editoria di viaggio?
In barba alla crisi, non smetteremo mai di viaggiare e scoprire. Spero che non smetteremo mai nemmeno di leggere. Anzi sarebbe il caso che molti cominciassero a farlo. Prima di mettersi a scrivere. Per salvare l’editoria (non solo di viaggio) credo che si debba innanzitutto elevare il livello qualitativo dei libri. Meno ma buoni.
E ora parlaci della guida che hai scritto. Perché hai scelto di scrivere una guida sulla Mongolia? Cosa ti affascina maggiormente?
Ho scritto, con parecchia presunzione ma con altrettanta passione, una guida sulla Mongolia perché è il famoso “luogo dell’anima”, perché è l’unica terra che presumo di conoscere, o forse perché è l’unica che vorrei conoscere davvero. Non bastano 25 viaggi, mesi di permanenza in quindici anni di frequentazione, tanti amici (e tanti nemici) per dire di essere un esperto. Potrei considerare la mia guida un’introduzione alla Mongolia.
Tre buoni motivi per viaggiare in Mongolia.
Uno, la spiritualità (la respiri ovunque); due, la gentilezza (soprattutto quella dei nomadi delle gher); tre, la natura (non quella che conosciamo noi, quella assoluta che ha costruito Dio, chiunque Egli sia).
A chi sconsiglieresti un viaggio in Mongolia.
A tanti. Ad esempio a quelli che non apprezzano e non rispettano il silenzio. E a chi non si commuove, e magari si annoia, di fronte a uno spazio infinito e definitivo.
Elementi per un viaggio perfetto in Mongolia.
Chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare da tutto quello che vi potrà succedere, anche gli inconvenienti.
Tre libri in valigia per un viaggio in Mongolia.
Ho scritto quattro libri su questo Paese, ma vorrei che apprezzaste che non inserisco nessuno di questi sul podio! Allora, primo libro: “La storia segreta dei Mongoli”, scritta da anonimo 17 anni dopo la morte di Gengis Khan (parliamo del XIII secolo): ogni mongolo la conosce più o meno a memoria e la studia già dai primi anni di scuola. È una lettura sconvolgente e per noi difficilissima da comprendere: ci aiuta Fosco Maraini nell’introduzione all’edizione riproposta da Guanda nel 2009, a cura di Sergej Kozin. Secondo libro: “Bestie, uomini e Dei” di Ferdinand Ossendowski (2000, Edizioni Mediterranee), documento storico apparso nel 1924 e che racconta, con piglio spregiudicato, il delicato e doloroso passaggio della Mongolia dal regime dei Manchu a quello sovietico. Terzo libro, “Viaggio nell’impero dei Mongoli” di Guglielmo di Rubruc (2002, Marietti e 2011 Fondazione Valla/Mondadori), straordinario reportage del frate francescano nell’Impero mongolo. Così come per l’Historia Mongalorum, a metà del XIII secolo, un “inviato” dell’Occidente (papa o re che sia) si avventura nel “regno diabolico di Gog e Magog” restituendoci un racconto stupefatto, perfino spaventato di questo popolo “proveniente dagli inferi”, ma descritto con un’attenzione maniacale e a volte affettuosa. Tanto che, e qui sta l’inestimabilità di questo libro, le sensazioni di questo diario di viaggio si ritrovano anche nella Mongolia rurale di oggi, ottocento anni dopo. Se questa non è magia.