Qualche domanda per conoscerti meglio… Hai un tuo ‘luogo dell’anima’?
Non credo esistano – almeno per me – dei luoghi dell’anima. Ogni luogo può essere veramente speciale a seconda di come lo vivi e di come in quel momento la vita si relaziona con te.
Cosa ti ha insegnato il viaggio?
Moltissimo, è una scuola di vita. Ti apre la mente. Vedere luoghi e confrontarsi con culture e mondi diversi allarga i tuoi orizzonti e ti aiuta a crescere.
La tua filosofia di viaggio in una frase.
Secondo il filosofo persiano Omar Khayyam “La vita è un viaggio, viaggiare è vivere due volte”. Ecco, fotografare viaggiando è vivere non al quadrato ma al cubo…
Lavoro e passione nel tuo caso coincidono: è il sogno di tutti. Ti consideri fortunato?
Molto fortunato. Alzarsi ogni mattina ed essere felice di andare a “lavorare” credo sia impagabile. Non ho mai considerato l’essere fotografo una professione anche se la fotografia necessita di una grande professionalità.
Viaggiare sempre con una macchina fotografica al collo (o due nel tuo caso): vantaggi e svantaggi…
Alcune volte anche tre! Beh dal punto di vista puramente tecnico i vantaggi sono molti. Puoi scattare velocemente senza dover cambiare obiettivo e quindi, essendo la mia fotografia di reportage, riuscire a cogliere l’attimo. Gli svantaggi? Il peso dello zaino fotografico – oltre 17 chili – e il dover litigare tutte le volte ai check-in degli aeroporti per l’imbarco come bagaglio a mano.
Un consiglio sull’attrezzatura per un viaggiatore appassionato di fotografia.
Adesso il mondo della fotografia si sta orientando verso le cosiddette mirrorless, ossia delle macchine compatte più leggere e meno appariscenti delle classiche reflex. Devo dire che ancora – ma credo solo per poco – la qualità non è paragonabile a quella delle professionali ‘classiche’ anche se il livello è notevolmente cresciuto. Se non si hanno velleità altamente professionali, una mirrorless è oggi l’ideale, altrimenti un buon corpo macchina reflex con un paio di obiettivi, un 14-24mm e un 24-70mm potrebbe essere il corredo di base. Ovviamente sto parlando di fotografia reportagistica e non naturalistica per la quale sono necessari teleobiettivi molto spinti.
Colori o bianco e nero, tu cosa suggerisci?
Oddio me lo chiedi proprio in un periodo molto particolare della mia vita, di forte cambiamento. Io ho sempre fotografato a colori seguendo le indicazioni del mio mentore, il grande fotografo americano Steve McCurry. Da un po’ di tempo a questa parte mi sto avvicinando al bianco e nero. Sto studiando molto, sto leggendo molto. Mi stanno affascinando sempre più le fotografie di Pellegrin, Majoli, Peress, fotografi che hanno fatto del bianco e nero una filosofia di vita. Qualcuno ha scritto che il bianco e nero trascende la realtà e nello scatto – se ben fatto – emergono le pure emozioni. Io ancora non ‘vedo’ in bianco e nero – cosa necessaria per utilizzare tale mezzo espressivo – credo di doverci lavorare molto.
Foto: India © Edoardo Agresti
Sei tu che sorprendi la realtà o qualche volta, dopo tutte le strade che hai percorso, è lei ancora in grado di sorprenderti?
Se mai la realtà dovesse smettere di sorprendermi allora smetterei di fare il fotografo e, dato che la fotografia per me è vita, vorrebbe dire che sto morendo. Credo di avere ancora molto da vivere.
Se è vero che ogni buona foto è soprattutto un incontro riuscito, come è possibile conciliare il rapido transitare nei luoghi, che accomuna un po’ tutti i nostri viaggi, con la fotografia?
La fotografia secondo la concezione di Cartier-Bresson è anche il saper cogliere un attimo, quel momento decisivo in cui mente, occhi e cuore sono in sintonia. Questo può accadere anche durante un breve incontro. Diciamo che una buona fotografia come un grande amore può nascere da un colpo di fulmine o dal maturare di una lunga amicizia.
La fotografia e il viaggio: amici o nemici? Come farli dialogare?
Perché nemici? Credo che la fotografia adesso più che mai grazie alle nuove tecnologie digitali che ci fanno fotografare con una discreta qualità anche dal cellulare, sia legata a doppio filo al viaggio. Viaggio che non necessariamente vuol dire raggiungere mete esotiche o lontane. Anche un pic nic domenicale può essere un viaggio.
Quali sono gli ingredienti di una foto di viaggio non solo bella ma anche buona?
Io, prendendo in prestito le parole di Erwitt, più che buona direi “interessante”. Non credo ci siano regole univoche. Sono molti gli elementi che contribuiscono alla riuscita dello scatto e sono sempre legati oltre che al contesto alla propria sensibilità. La luce, il taglio, l’emozione che trasmette e il soggetto sono ingredienti importanti; è fondamentale uscire dallo stereotipo della foto cartolina, del già visto.
Per un fotografo di viaggio è più importante cercare la bella foto o delle storie da raccontare?
Dipende da quello che si cerca nella fotografia. Ci sono degli scatti singoli che hanno al loro interno una tale potenza narrativa che da soli raccontano una storia. Guardate ad esempio la foto di Samuel Aranda vincitrice del World Press Photo 2012, una ‘pietà’ moderna che descrive un mondo. La storia o il cosiddetto photo essay è altrettanto importante, ma forse in un viaggio itinerante è un po’ difficile da realizzare. Credo che per farlo sia importante dedicargli tempo, concentrandosi unicamente sulla natura del progetto.
Foto: Pietà, foto vincitrice World Press Photo 2012 © Samuel Aranda
Hai lavorato con un fotografo come Steve McCurry. E lui, maestro nel rivelare l’anima dei suoi soggetti, ha scritto che “Osservare un viso è come guardare dentro un pozzo, sul fondo si compone un riflesso, ed è l’anima che si lascia intravvedere”. Come trasformare anche le nostre foto in finestre affacciate sul mondo e sull’altro, e non portarci a casa solo foto-souvenir?
Ultimamente mi sto un po’ allontanando dalla fotografia di McCurry che rimane uno dei fotografi più importanti del nostro tempo. Mi affascinano ed emozionano di più altri fotografi che ho citato in precedenza. Credo che la fotografia sia uno specchio di se stessi, del proprio io più profondo ed è per questo motivo che i cambiamenti della vita si riflettono nel proprio modo di fotografare. Non esiste una regola universale per fare delle foto interessanti. Forse la risposta è nella lettera di George Rodger – uno dei cinque fotografi fondatori della Magnum – a suo figlio che gli chiede come fare per diventare un fotografo come lui: “Certamente non puoi interpretare ciò che vedi nel tuo mirino e non puoi farne una buona fotografia, senza averlo prima compreso. Devi riuscire a provare una certa affinità con quello che stai fotografando; devi essere una parte di esso e nello stesso tempo restarne sufficientemente distaccato per poterlo vedere obiettivamente”.
Abbiamo l’abitudine di pensare, ma non si insegna alla gente a vedere”, scrive Cartier-Bresson. Tu come insegni a guardare ai tuoi studenti durante i Nikon School Travel?
Direi a “vedere”… Scianna dice che il fotografo si guarda intorno e alcune volte vede. C’è una profonda differenza tra il guardare e il vedere. Ti guardi in giro e sembra che non ci sia niente d’interessante poi all’improvviso come una sorta di illuminazione inizi a vedere e la realtà assume un aspetto nuovo, diverso e personale. Quante volte mi sono sentito chiedere tornando da qualche viaggio “ma eravamo nello stesso posto?”. Nei ‘miei’ Nikon School Travel alle persone che viaggiano con me dico di guardare come mi muovo, come è il mio approccio con il soggetto, come “leggo” la luce. Alla sera mostrando le mie foto gli “allievi” si rendono conto del taglio che ho dato a un qualcosa che magari tutti stavamo fotografando. Credo sia importante, anzi fondamentale in questo genere di workshop, vedere il master in azione. Se le persone viaggiano con me è perché, forse, gli piace il mio modo di scattare e cercano di ispirarsi alla mia visione fotografica. Vedendomi in azione sicuramente si apprende molto o almeno è questo quello che spero emerga dai miei workshop. È naturale che quelli che offro sono degli spunti su cui riflettere e far crescere la propria visione nello scattare. È importante dopo essersi perfezionati anche dal punto di vista tecnico percorrere la propria strada e non cercare di imitare la mia fotografia. Proprio perché fotografare è rendere pubblica la propria anima, e se uno si limita a copiare, la sua fotografia resterà impersonale.
Foto: Matrimonio © Edoardo Agresti