Intervista a Giulio Badini e Anna Maria Arnesano, autori di “Terre Incognite” – Polaris Edizioni
Terre Incognite, un titolo accattivante. Ma quali sono esattamente?
Le terre incognite non sono un’espressione geografica, bensì un luogo dell’anima riposto in ognuno di noi. E non sempre serve andare in capo al mondo, spesso l’ignoto o l’ignorato si nascondono dietro casa.
Cosa trova il lettore nel vostro libro?
Trova 135 mini reportage, sintesi di reportage assai più ampi, realizzati in 30 anni di attività giornalistica da inviati per conto di importanti testate nazionali, compiuti in 96 nazioni diverse, in genere decisamente trascurate dal turismo tradizionale.
I criteri di scelta per le terre incognite, perché questa e non quella?
Un po’ casuali, dove magari c’era un invito, un appoggio in loco, oppure ragioni di attualità, in molti altri casi invece mirati a destinazioni dove poteva esserci qualcosa – qualsiasi cosa – di interessante da scoprire e da raccontare. Il libro non va affatto inteso come una normale guida turistica, ma come una somma di suggerimenti: un po’ come chiedere ad un esperto di spiegarci in poche parole cosa c’è di rilevante in quel dato posto.
Centotrentacinque località in 96 nazioni: finisce qui il mondo, o almeno le terre incognite?
No di certo. Questa è soltanto una selezione operata, con un criterio commerciale, su oltre 400 servizi realizzati un po’ ovunque. Manca, ad esempio, tutta l’Italia. E gran parte dell’Europa, dove pure ci sarebbe tanto da raccontare.
Novantasei nazioni descritte. Visitate tutte?
In realtà sarebbero parecchie di più, comprese quelle non incluse nel volume.
Quindi quasi un primato da Guinness di timbri sul passaporto?
No, affatto. Se avessimo mirato ad un qualsiasi primato – cosa ben lungi da noi – avremmo adottato strategie differenti. Per ragioni contingenti di lavoro, in alcune nazioni siamo andati per decine e decine di volte (Slovenia, Turchia, Algeria, Libia, ecc.), in altre più volte, ovviamente a tutto vantaggio della loro approfondita conoscenza. Ma così facendo abbiamo anche perso l’occasione per visitare diversi altri paesi.
Visitati tutti uno per uno?
Visitati al 90 %. Un buon cronista non è quello che descrive compiutamente un fatto di cui è stato testimone, bensì quello che sa descrivere compiutamente un fatto a cui non ha assistito. In questi casi si richiede ovviamente maggior impegno, fatica, documentazione.
E quali sono queste destinazioni?
Non lo confesseremo neppure sotto tortura. Tutti i figli sono uguali per la mamma, pure i bastardi. Essendo stati scritti, se possibile, con maggior attenzione, siamo certi che neppure i lettori riusciranno a distinguerli.
Documentarsi, andare sul posto, chiedere, vedere, parlare, capire, fotografare, poi tornare e raccontare. Facile o difficile? Molti vi invidieranno!?!
Quello che può essere divertimento per un viaggiatore, diventa lavoro per un giornalista, con tutta una serie di doveri che il viaggiatore non conosce. E come tutti i lavori … Simpatica, ma falsa, la battuta che è sempre meglio fare i giornalisti che lavorare, soprattutto nella situazione di crisi attuale. Se non si è sorretti da forti motivazioni, si finisce per cambiare mestiere in fretta. Altro che invidia! Viaggiare è stupendo, arricchisce tantissimo, ma è pure faticoso e stancante, soprattutto su mete scomode e inusuali come le nostre, tutt’altro che turistiche.
Quanti viaggi avete fatto complessivamente?
Non meno di 300, e non abbiamo finito, parecchi dei quali da noi organizzati nella vesti di addetti stampa per accompagnare altri colleghi giornalisti o fotografi, e tanti di questi nei deserti di tutto il mondo, la nostra grande passione.
I deserti occupano infatti una parte non secondaria nel vostro libro. Davvero tanto interessanti?
Occorre sfatare un luogo comune ben radicato, creato sicuramente da qualcuno che in deserto non c’è mai stato. Il deserto (sostantivo) è tutto, fuorché deserto (aggettivo)! In deserto, considerate le sue condizioni climatiche e ambientali estreme, esistono forme di vite commoventi, presenti e passate. E poi le notti trascorse sotto la volta stellata, magari attorno ad un fuoco, oppure scavalcare le dune in fuoristrada a forte velocità per non insabbiarsi costituiscono alcune delle situazioni più emozionanti che abbiamo vissuto, degne dell’incontro con i panda, i gorilla di montagna o le balene. E comunque un viaggio in deserto, per le forti sensazioni che provoca, costituisce un viaggio catartico nei recessi più nascosti della propria anima, un percorso interiore prima ancora che fisico. Non a caso tutte le grandi religioni sono nate nei deserti.
Quanti viaggi avete fatto in deserti?
Circa un centinaio soltanto nel Sahara, dal Marocco all’Egitto, dalla Mauritania fino al Sudan, ma per la loro complessità li definiremmo spedizioni, più che viaggi. E non ci siamo ancora stancati. Purtroppo la situazione geopolitica sottrae ogni giorno vecchie mete dove andare ai sahariani come noi.
Avete compiuto qualche percorso estremo?
Si, diversi. In particolare ben due attraversate integrali, tra le prime in assoluto e quindi su un suolo assolutamente vergine, dell’immenso erg di Murzuq in Libia assieme a Sergio Scarpa, il maggior sahariano italiano, un deserto stupendo ma assai impegnativo, e poi un attraversamento parziale del Rub al Khali tra Oman e Arabia Saudita, la maggior distesa spopolata di dune del mondo, con l’équipe di Maurizio Levi, l’unico italiano ad aver vinto un Camel Trophy.
In tutto questo peregrinare per deserti, avete mai scoperto qualcosa di rilevante?
In deserto si finisce sempre prima o poi per scoprire qualcosa. Tutto sta a mettersi d’accordo su cosa può essere rilevante. Da appassionati di archeologia preistorica e di arte rupestre primitiva, soprattutto nel Sahara centrale (Algeria e Libia) abbiamo individuato numerosi insediamenti umani, con paleosuoli intatti fin dal Mesolitico e poi del Neolitico, oppure strumenti litici come amigdale vecchie di decine di migliaia di anni, o punte di frecce, lame, bulini, raschiatoi e macine con cui i nostri antenati si sono sfamati, o gusci d’uovo di struzzo usati come borracce, o ancora un gran numero di pitture e di incisioni ritraenti scene di vita quotidiana di migliaia di anni or sono. Ogni volta indescrivibili emozioni.
Immagino la vostra abitazione come un museo sahariano…
No affatto, siamo ecologisti e abbiamo sempre raccolto soltanto il minimo indispensabile. Anche in deserto occorre sfatare il detto: “Tanto se non lo raccolgo io, lo raccoglierà qualcun altro”. Quello che per un turista finisce sempre per diventare un polveroso souvenir, per uno studioso può costituire una preziosa testimonianza. Facciamo in modo di non rendere mai un deserto (sostantivo) deserto (aggettivo).
Esaurite tutte le terre incognite?
Tutt’altro. Terre incognite sono tutte quelle destinazioni dove non siamo ancora andati, mete dei prossimi viaggi.