Intervista all’autore
Intervista a Federico Pasqualini autore del libro Tre gradini e un albero di limoni.
Raccontati in una battuta e qualche riga…
Credo di avere nel DNA quel gene del viaggiatore che mi fa vivere costantemente nell’ansia di partire. Ne ho anche un altro, un “gene malato” che aggredisce via via la mia autosufficienza motoria. Per ora, è quest’ultimo ad avere la peggio sul primo.
Un buon motivo per viaggiare.
Mi viene in mente la domanda di una studentessa durante la presentazione del libro presso il liceo che ho frequentato fino alla maturità. Mi chiedeva se non ci fosse stato un luogo nei 19.000km di viaggio in Africa in cui mi sia sentito a casa. Mi sono innanzitutto interrogato su cosa sia “casa” e istintivamente l’ho associata all’elusivo “sentirsi bene”, molte volte provato in viaggio. Ecco, forse un buon motivo per viaggiare è proprio quella piacevole e sfuggente sensazione di “sentirsi a casa” essendo lontani.
Il tuo mondo: quali sono i tuoi luoghi dell’anima?
Ce ne sono molti, quasi sempre incontrati per caso, inaspettatamente, dietro casa e dall’altra parte del globo. In comune credo abbiano la natura e gli spazi aperti, lontani dal rumore e dalla frenesia della nostra routine moderna. Ricordo chiaramente come Cape Agulhas, estremo meridionale del Continente Nero, la sua brezza silenziosa, il suono rallentato dei due oceani davanti e tutta l’Africa alle spalle mi abbiano fatto vibrare l’anima.
Il tuo modo di viaggiare: mezzi, tempi, compagni…
Amo la strada. Le mia limitazioni fisiche hanno man mano ridotto la possibilità di usare treni, bus o la moto. Ho però la sensazione che l’auto sarebbe stata per il mio modo di viaggiare comunque il mezzo ideale per viverla, la strada. Le buche, i tornanti, le interruzioni, le deviazioni, i vicoli ciechi, i bivi, l’idea di poter sbagliarla, l’occasione per “il caso” di mandarti verso un nuovo destino. E sempre una specie di necessità emotiva di condividerla con qualcuno. Senza Stefano, mio fratello e compagno di viaggio eletto tra Città del Capo e Kampala, non sarebbe stata la stessa cosa.
Gli autori e i libri di viaggio che ami di più.
La vera scintilla che mi ha fatto divampare l’incendio del “un giorno lo farò anch’io” è stato Giorgio Bettinelli con il suo “Brum Brum. 254.000 chilometri in Vespa”. Poi Hugo Pratt e gli evocativi tratti del suo Corto Maltese che mi hanno portato per i mari della fantasia sin dall’adolescenza. Non posso non citare anche Jack London per l’empatia con il cane Buck e il magnetismo di quel benedetto-maledetto richiamo della foresta.
Perché hai scelto di scrivere questo libro?
Inizialmente doveva essere un diario di viaggio. Sapevo che quello in Africa sarebbe stato il viaggio della vita e sentivo il bisogno di portarmi a casa un qualcosa di fisico. Un mucchietto di emozioni, sensazioni, ricordi e suggestioni impressi in fogli di carta da rigirare tra le mani anche tra cinquant’anni. Nel sistemarli è venuto fuori il capo di un filo d’oro che mi ha attraversato il cuore e che ho voluto seguire fino a scoprire che il viaggio sarebbe continuato anche dentro nell’anima. E’ così che è nato “Tre gradini e un albero di limoni”.
L’emozione più grande e il momento più difficile nella scrittura del tuo libro.
L’emozione più grande è aprire lo scatolone con le prime cinquanta copie stampate. Il momento più difficile è stato quello di mandare in stampa il manoscritto. E’ lì che si addensano tutti i “se” e tutti i “ma”.
Cosa ti affascina maggiormente dell’Africa?
I sentimenti contrastanti che provoca. E’ il luogo che sa essere la tua casa dimostrando che potrebbe essere anche la tua peggior prigione. E’ dove si avverte la nostalgia dell’arretratezza e al contempo il bisogno dei nostri agi. E’ il richiamo della natura selvaggia e l’angoscia della sua conservazione nel “progresso cino-occidentale”.
Tre buoni motivi per viaggiare in Africa australe?
Si trovano ancora luoghi dove nel fastidio della sua polvere e nell’odore della sua terra ci si ricorda nel medesimo istante della nullità e dell’immensità che rivestono nell’Universo rispettivamente la nostra esistenza materiale e la nostra anima. Poi perché gli africani nella loro terra possono insegnare che se ci sono mille difficoltà, ci sono mille e una soluzioni. E terzo ma non ultimo, perché esistono ancora angoli sufficientemente bui da lasciar spazio alla Via Lattea di illuminare il cielo come probabilmente solo i nostri trisnonni avranno quotidianamente visto dalle nostre parti.
A chi sconsiglieresti un viaggio in Africa?
Più che sconsigliarlo, preferirei che non ci andasse chi vuole chiudersi dentro ai recinti dei resort a cinque stelle o a quelli dei parchi per i safari. In sostanza chi decide di perdersi i tre buoni motivi per viaggiare in Africa di cui sopra.
Elementi perfetti per un viaggio in Africa?
Lentezza, una buona dose di fatalismo, umiltà e l’allegro “hakuna matata”.
Tre libri in valigia per un viaggio in Africa.
Sicuramente “Ebano” di Kapuscinski. Non riesco a omettere Bettinelli col suo “Rhapsody in black” e, sia anche “solo” per il deserto, “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupery.
Perché scegliere il tuo libro per un viaggio in Africa australe?
Perché è un libro scritto con l’anima di un viaggio nell’anima. Perché forse si capisce che solo l’Africa ha potuto permetterlo.
Un consiglio da viaggiatore a viaggiatore…
Potrebbe essere quello che rivolgo a me stesso da un po’ di tempo a questa parte, ogni volta che parto: “Non ossessionarti a voler vedere e vivere tutto. Fermati spesso e lascia che sia il luogo a portarti in viaggio. Scoprirai molto di più”.
Fotografie di Federico e Stefano Pasqualini.