È difficile immaginare come l’olfatto, nella maggior parte degli animali, sia un senso talmente sviluppato da consentire loro di vedere attraverso gli odori proprio come noi facciamo attraverso la luce e la vista. E, probabilmente, è altrettanto difficile per un miope rinoceronte immaginare come noi possiamo avere una così chiara idea di ciò che ci circonda semplicemente affidandoci a ciò che vediamo.
Nel corso di un’escursione di buon mattino, avevamo individuato tre rinoceronti al pascolo in un’ampia radura. Ci avvicinammo come da manuale e raggiungemmo un grande cespuglio spinoso, scelto come riparo in quanto abbastanza folto da celare la nostra presenza e collocato sottovento rispetto ai tre animali. Si trattava di un grazioso quadretto familiare, composto da un maschio, una femmina e un piccolo, per un totale di quattro tonnellate di irascibile forza bruta.
Gli ungulati pascolarono a lungo, poi la femmina si spostò verso di noi e il cucciolo si portò al suo fianco. Le larghe bocche brucavano l’erba senza sosta, mentre, un passo dopo l’altro, i due rinoceronti avanzavano nella nostra direzione, ignari della presenza umana. Si fermarono ad una decina di metri dal cespuglio, indisturbati, e continuarono a pascolare: a quella distanza, però, il minimo rumore li avrebbe posti in pericolosa allerta. Dovevamo restare immobili come pietre. Potevo udire il rumore degli steli che si strappavano e le mascelle che masticavano senza sosta. Perfino il mio respiro mi sembrava un frastuono insopportabile e mi imposi di trattenere il fiato. Accovacciato com’ero, sentivo le gambe indolenzirsi e il fucile pareva pesare di più ad ogni istante che trascorreva.
La femmina riprese a muoversi verso di noi. Scartò il cespuglio e si avviò a superare la linea immaginaria che, passando attraverso la nostra posizione, tagliava perpendicolarmente la direzione della brezza. Oltre quella linea, il rinoceronte si sarebbe trovato sopravento e ci avrebbe individuato. La reazione, con il piccolo vicino, era imprevedibile e la tensione divenne palpabile.
Quando varcò l’effimero confine, il nostro odore le arrivò alle narici. La femmina sollevò il muso di scatto e si immobilizzò, e il piccolo fece altrettanto. Soltanto le orecchie si muovevano come due radar nella frenetica ricerca di un suono che potesse rivelare la posizione della minacciosa presenza avvertita dall’olfatto. Non udì nulla. Scattò nervosamente girando su se stessa e roteò, sbuffando, il corno minaccioso. Il tempo parve fermarsi, poi, prese la decisione: con un ultimo nervoso fremito dei possenti muscoli trottò via, allontanandosi con il piccolo e scomparendo nella boscaglia.
Ci era andata bene!