fbpx

Oltre la vita felice

Oltre la vita felice, il mio romanzo edito da Polaris, descrive la vita di Maia, una donna sudafricana, professionista in carriera, la cui esistenza viene spezzata dalla morte accidentale del figlio. Questa profonda lacerazione spinge la protagonista a compiere un cammino interiore e, nel contempo, ad intraprendere un viaggio fisico che la conduce da Cape Town al Great Karoo e, lungo un arco temporale di oltre un anno, attraverso le aree semidesertiche del Kgalagadi, del Botswana e della Namibia.

Il romanzo, da un punto di vista narrativo, si sviluppa con un percorso diacronico, con alcune sovrapposizioni di fasi temporali che accentuano ed espandono le tematiche fondamentali: il tempo, il dolore, la memoria e il ricordo. Il tempo viene segmentato da Maia secondo un criterio fondato sul prima e sul poi, lo spartiacque che separa gli eventi, le esperienze, ciò che si è stati e ciò che saremo; il dolore è da lei percepito come una sofferenza acuta, inguaribile, refrattaria ad ogni stimolo esterno; la memoria, svuotata da ogni ricordo e punteggiata da rarissimi momenti di dolcezza, è assenza di emozioni. Per Maia esiste un prima ed un dopo, una precedente vita felice –in apparenza- ed il baratro tragico, senza via di scampo, nel quale lei è precipitata.

Dopo una lunga fase di assoluto straniamento, nella vita della protagonista ha inizio una debole, graduale metamorfosi. Il prolungato soggiorno in una farm del Great Karoo porta Maia a rivivere tutto ciò che, prima del tragico evento, sembrava esserle sfuggito: i paesaggi infiniti, i loro colori intensi e cangianti, il suono del vento, i rumori domestici, il brucare morbido dei cavalli, la popolazione locale. Un cosmo che è sempre esistito e, nonostante le intemperanze della vita, esisterà sempre. Ella, in questo quotidiano sperimentare, percepisce un linguaggio nuovo la cui grammatica si semplifica di giorno in giorno sino a subire un processo di deverbalizzazione: l’elaborazione mentale del lutto lascia spazio ai suoni della natura, agli sguardi delle persone che incontra, agli stimoli multisensoriali che il Sudafrica rurale offre a chi l’attraversa. Il prima e il poi acquistano un significato più sfumato, inconsistente, e la sofferenza di Maia si diluisce nelle emozioni che il viaggio, giorno dopo giorno, le propone.

L’impronta del romanzo è classica, epica, con ampi spazi narrativi dedicati a fenomeni naturali umanizzati (il vento, la pioggia, la polvere divengono co-protagonisti), alla mitologia dei San, all’idea che il suono e la musica rappresentino voci che ci portano lontano, avanti, permettendoci di affrontare il dolore primitivo, ancestrale, del lutto. La musica, il concerto K622 di Mozart, per Clarinetto e Orchestra, cui Maia assiste sotto il cielo terso del Sudafrica, rappresenta il momento cruciale: il suono umano del clarinetto è un richiamo lontano, dolcissimo, e diviene chiamata primordiale, vento che accompagna la protagonista a percorrere le piste del Kalahari fino a perdersi nelle notti di un pan del Botswana, una distesa salina che assomiglia all’Oceano ed alla volta celeste stellata delle notti australi. Maia, lentamente, si accorge che intorno a sé è rimasto il mondo, la Storia, e, con essi, la storia degli esseri umani che incontra e quella, infinitamente breve, della sua vita amputata. Percepisce che il prima ed il poi, nel cosmo, non esistono separati ma sono un tutt’uno, due fasi sovrapposte: sente che la contemporaneità è l’unica dimensione possibile, reale, umana, e che la vita scorre leggera ed ineluttabile come il vento.

Nel paesaggio metafisico australe, l’uomo si perde nell’immensità degli spazi e, in modo quasi paradossale, i dettagli minimi – lo scricchiolio del pavimento sotto i piedi nudi, il frusciare di un albero, l’alito dei cavalli che condensa la bruma invernale – acquistano la valenza di messaggi di vita e si espandono fino a trasformarsi in ritmo, una cadenza musicale in grado di condurci per mano. Come accadeva alle popolazioni primitive, Maia scorge nella natura un sé nel quale riconoscersi: il paesaggio si umanizza e gli esseri umani si fondono con esso fino a diventare porzioni di quel cosmo al quale ella credeva di non poter più appartenere. I suoni consonantici della lingua dei San, parlata dai Boscimani, lo sguardo di una donna Xhosa, la fioritura, sono attimi fuggenti, epifanie che appaiono e scompaiono nell’arco di una manciata di ore, impulsi che invitano Maia a riscoprire il mondo.

Il suo percorso la riporterà a Cape Town, ma non si tratta di un viaggio chiuso, circolare, omerico: in un finale aperto, tornata a casa, Maia proverà a credere a quel breve tempo dolce che il vento e la musica le hanno regalato e tenterà di vivere ancora. Il Sudafrica è rappresentato in equilibrio, tra la fine dell’Apartheid e la sua rinascita democratica. La Storia, come la vita della protagonista, muta repentinamente il suo corso, generando un’atmosfera di estraniazione che avvolge la lenta rinascita di Maia e la accompagna lungo le distese infinite dell’Africa Australe.

Intervista all’autore Corrado Passi (fonte: Askanews)