Cape Town è una città del Nuovo Mondo, nata per rifornire di acqua, verdura e frutta le navi olandesi che attraccavano alla sua costa, e si è sviluppata con l’apporto di molte popolazioni viaggianti, che qui interrompevano la loro navigazione lungo una delle rotte più estese e pericolose del mondo. Questo giungere di stranieri ha generato un flusso costante di idee, lingue, tradizioni sociali e religiose, colori.
Oggi la Mother City potrebbe essere definita come uno spettacolare contenitore naturale di espressioni del volto, a migliaia diverse tra loro, di colori della pelle, di acconciature e vesti, slang, lingue e linguaggi che, nonostante l’irrefrenabile processo di globalizzazione, riescono a mantenere una propria individualità e un intramontabile senso di appartenenza. E ciò dona a questa città un fascino indiscusso. Se è cosa nota il fatto che il clima, frequentemente mutevole e capriccioso, e la ricchissima vegetazione contribuiscono a infondere al viaggiatore un iniziale senso di evanescenza del paesaggio – paesaggio che è, insieme, mediterraneo, nord-europeo, africano e australe – portandolo a chiedersi in quale angolo del pianeta terra sia venuto a trovarsi e a quali coordinate geografiche possa fare riferimento, è altrettanto vero che il paesaggio umano e i suoi volti accrescono questo senso di mistero poiché, sotto la Montagna, sono rappresentati tutti i continenti, senza alcuna eccezione.
In città incontriamo volti africani appartenenti a varie etnie dell’Africa australe, come gli Xhosa (provenienti dal Western Cape e dall’Estern Cape), gli Zulu (originari del KwaZulu Natal), gli Ndebele (nati nel Mpumalanga e nello Zimbabwe), i Setswana (originari del Nord-Ovest del Paese), o popolazioni dell’Africa equatoriale, Sub-sahariana e Sahariana, di recente immigrazione, volti europei, volti latino-americani. Non è raro ammirare donne di etnia Xhosa (la più numerosa in quest’area del Paese) dai volti ornati con argilla bianca, che mostrano disegni formati da puntini e linee curve intorno agli occhi, allo scopo di identificare una ragazza in procinto di sposarsi, o per richiamare il loro legame con gli ancestors, i numi protettori che sono alla base della loro cosmologia. Capita di incrociare sguardi che ci riportano alla storia delle etnie Khoi-San, le più antiche popolazioni dell’Africa australe, dai tratti del volto quasi asiatici, con zigomi sporgenti e occhi sottili e sfuggenti.
In Bo-Kaap, il quartiere di origine malese tutt’oggi abitato prevalentemente da musulmani, scorgiamo i volti di coloro che, discendenti dagli schiavi malesi, vennero definiti dai bianchi coloured, per differenziarli, razzialmente e socialmente, dagli africani; tra le strette vie del quartiere si può ammirare il trucco accurato delle donne musulmane o il loro sguardo nascosto. A Green Point, nel parco affacciato sull’oceano, incontriamo il caratteristico tilaka, la goccia rossa dei fedeli induisti, segno di appartenenza religiosa e di devozione verso le sue innumerevoli divinità; la passeggiata sul lungomare di Sea Point è meta di giovani coppie e bambini facenti parte della numerosa comunità ebraica del Capo.
Lo sguardo europeo dei discendenti boeri, degli anglosassoni e dell’intero gruppo di popoli partiti dal bacino del Mediterraneo (Italiani, Portoghesi, Spagnoli e Greci) richiede, per essere identificato, un salto di molti paralleli geografici e la loro presenza in terra d’Africa va comunque datata dalla scoperta di questo Nuovo Mondo, e non prima. Si tratta molto spesso di volti europei dai tratti conosciuti, familiari, ma una tale e numerosa presenza in terra d’Africa, nel punto più meridionale del continente, suscita, per il viaggiatore che giunge al Capo per la prima volta, una lieve sorpresa poiché egli si imbatte in numerosi occhi chiari e capelli biondi, e scopre dettagli che gli riportano alla memoria visite a musei olandesi, vestiti fiamminghi e acconciature nord-europee.
Ciascuno di questi sguardi vive sotto la Montagna e si muove in una città che, lentamente, già dopo i primi giorni di visita, diviene anche il contenitore delle nostre emozioni e delle nostre attese di viaggiatori. Questi volti sono un racconto continuo, infinitamente denso di particolari: essi non parlano di una vita, o della Storia, o del prima e del dopo, ma riescono a tradurre occhi, sguardi, sorrisi, colori, trucchi e acconciature in un linguaggio espressivo inequivocabilmente comprensibile, che ci conquista utilizzando la stessa grammatica del paesaggio e dei colori di questa terra, che, come i loro sorrisi e i loro occhi, sono in continuo, costante mutamento. Il loro potere di seduzione è un tutt’uno con la loro capacità di parlare la lingua di questi scorci di luce e di questi cieli, imprimendo un senso di mistero e di rivelazione alla realtà stessa.