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Cape Town

Abbiamo selezionato questi estratti dalla nostra guida per te
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01. Mother City02. La città che narra03. Cape Peninsula04. Cape Winelands05. La Route 62 e il Little Karoo

I ricordi del primo approccio a Cape Town, la Mother City, sono densi di pioggia e di nuvole basse disegnate nel cielo di un inverno lontano, mentre il taxi correva lungo un’autostrada perfetta e regolare. Fu un approccio inaspettato, nel quale cercavo la presenza netta e distinta della montagna – l’immensa quinta teatrale che contraddistingue e rappresenta la città, la protegge, la domina e si eleva a sua icona. L’assenza di Table Mountain all’orizzonte decretava, parallelamente, l’assenza della città, che con essa forma, nell’immaginario, un binomio indissolubile. Questo rilievo improvviso e compatto, affacciato sul mare australe e circondato da una linea costiera di infinita bellezza, non avrebbe potuto trovare miglior collocazione al mondo. Essa è il primo sguardo di questo luogo, la forza dei suoi occhi, è ciò che resterà all’infinito nella nostra memoria.
Come per ogni approdo, anche per l’arrivo a Cape Town diviene necessario rallentare gradualmente il flusso di vita precedente e le coordinate che lo orientavano; va ridisegnato il modo che ciascuno ha di concepire la bellezza, di percepire lo spazio e il tempo, quasi azzerando un orologio con il quale ci si è abituati a vivere. Tutto ciò significa ripartire dalle proprie emozioni, rendendole più accessibili e permeabili affinché il viaggio possa trasformarsi in un itinerario interiore. Se ciò accade, significa che l’alchimia di Cape Town è riuscita a esprimersi e a mescolarsi con i nostri sensi, rallentando tutto ciò che è stato prima e imprimendo carattere e forza all’esperienza che sta per compiersi: è la riscoperta di un’umanità e di un paesaggio cui si appartiene, ma senza mai averlo percepito, prima, fino in fondo.

01. Mother City – 02. La città che narra03. Cape Peninsula04. Cape Winelands05. La Route 62 e il Little Karoo

01. MOTHER CITY

Chi decide di trasferirsi e di vivere a Cape Town raramente lo fa perché intravede un’interessante opportunità legata al business. Sceglie di farlo. Innamorarsi di un luogo non è cosa che capiti tutti i giorni: la Mother City è un luogo che non invia messaggi dubbi o subliminali, ma appare com’è: è una città che trasmette immediatamente sensazioni percepibili e nette, e non concede molto spazio ai compromessi.
La comunità internazionale residente nella Mother City non è identificabile in base ai quartieri che abita ed è difficile tracciare le coordinate urbane basandosi sull’origine degli abitanti. Anche in questo senso Cape Town dimostra di essere soprattutto un luogo fisico, un paesaggio, un’emozione che oltrepassa i limiti della logica, della convenienza, della vicinanza o della distanza dal lavoro, da ciò che si deve fare e da tutto quello che è inserito in un’ottica esageratamente razionale; è, piuttosto, un punto di arrivo nel quale l’orientamento, la scelta di una casa o, semplicemente, di un bar avviene in base alla location, al contesto ambientale o paesaggistico nel quale ci si vorrà trovare domani, o tutti i giorni. La vista del tramonto o uno scorcio sull’oceano possono costituire un motivo di scelta prioritario.
Il primo oggetto che si incontra, varcando la soglia delle case lungo la costa, è la tavola da surf, segno di un legame quasi simbolico con l’oceano, secondo solo all’abitudine di compiere lunghissime passeggiate con i cani, al tramonto, sul bagnasciuga. Sin dall’età della scuola primaria, il capetonian, il cittadino di Cape Town, percepisce il luogo in cui vive come un valore, un patrimonio personale e collettivo importantissimo; è un’eredità naturale non negoziabile, alla quale per nulla al mondo vorrà rinunciare. Sarà sempre il suo segno distintivo, vissuto come un privilegio che ne condizionerà l’intera esistenza, alimentandone i sogni e il senso di dipendenza dalla propria terra. Tutto ciò è naturalmente condizionato dalla presenza di un mare che appare ubiquitario, che connota la città e crea un imprinting indissolubile nell’animo dei suoi abitanti.
La città si presenta come un luogo da capire ed esplorare visivamente a vari livelli di elevazione sul mare, poiché solo osservandone i contorni dall’alto e ammirandone i diversi colori è possibile rendersi conto di quanto la Mother City sia differenziata a livello naturale, fisico e urbanistico. L’ascensione in funivia (o a piedi!) sulla sommità di Table Mountain o la più agevole conquista in auto di Signal Hill rappresentano le due azioni irrinunciabili che ogni viaggiatore dovrebbe compiere non appena approdato in città.
Il rapporto dei residenti con il Capo è sempre sembrato univoco ai loro occhi e il piacere di riceverne emozioni non ha mai concesso spazio al sentore di dover restituire a questo luogo qualche cosa: un progetto di qualsiasi tipo non è mai riuscito a divenire una merce di scambio nei confronti di questa terra. Essa ha donato l’emozione sotto molteplici forme ma, come tutte le terre che attraggono per la forza della loro bellezza, nulla ha voluto in cambio, né conosce il linguaggio per pretendere alcunché, se non – ma di pretesa non si tratta – il fatto di rispettare la dolcissima inquietudine e mutevolezza del suo paesaggio.

01. Mother City – 02. La città che narra – 03. Cape Peninsula04. Cape Winelands05. La Route 62 e il Little Karoo

02. LA CITTÀ CHE NARRA

Il District Six riesce a evocare, come pochi altri luoghi di Cape Town, le ferite del recente passato. È per molti aspetti un non-luogo, una terra di confine tra la vita della città e i lati oscuri della storia dell’uomo. Tradizionalmente abitato da una popolazione formata dai discendenti delle popolazioni malesi, importate come schiavi dalla Compagnia Olandese delle Indie Orientali, da Xhosa, Indiani, Portoghesi ed Ebrei europei, fu frequentato dal flusso cosmopolita di marinai e commercianti che approdavano quotidianamente a Cape Town da tutto il mondo. La vicinanza del porto (un tempo l’oceano quasi lambiva il distretto) e di tutte le attività che vi si svolgevano creò nel quartiere un’atmosfera vivace e operosa; la vita si svolgeva tra negozi e piccoli empori, botteghe artigiane, locande e luoghi di ritrovo.
Il District Six fu investito da una metamorfosi radicale durante il regime dell’apartheid: le aree urbane del Sudafrica vennero suddivise in base alla razza di appartenenza degli abitanti, stabilendo che persone di razze diverse non potessero coabitare negli stessi quartieri. Gli abitanti di colore vennero deportati nei Cape Flats, un’immensa e inospitale periferia di Cape Town, nella quale risultava quasi impossibile ripristinare l’equilibrio di vita, le tradizioni, le relazioni, i commerci e la dignità umana ormai consolidati da due secoli. District Six divenne area a sola presenza bianca; rimasero pochissime tracce del sobborgo precedente e la sua atmosfera cosmopolita, la musica e le numerose lingue parlate scomparvero.
Solo dopo la caduta dell’apartheid nel 1994, il Governo decise di restituire ai suoi abitanti o ai loro discendenti questo angolo di città e, con esso, la dignità, la storia personale e familiare di ciascuno di loro: il 10 dicembre 1994 venne inaugurato il District Six Museum, un museo assolutamente unico nel suo genere. La storia precedente alla deportazione, la topografia personale di ciascun abitante, la cacciata, la speranza e il ritorno sono i messaggi che il Museo vuole esprimere e testimoniare: il piano terra è una grande mappa del quartiere originale, che riporta disegnate le indicazioni che alcuni abitanti hanno tratteggiato per indicare la loro abitazione; inoltre, fotografie, disegni e racconti rappresentano la vita quotidiana del Distretto.

Nonostante l’esigua distanza fisica dalla città, il breve tragitto in battello traccia una linea netta tra la terraferma e il mare aperto, e conferma la sensazione, inizialmente velata e poi sempre più netta, che Robben Island sia simbolicamente lontanissima dalla costa, dalla comunità civile e dal mondo che non si ferma mai. Fin dalla fine del XVI secolo, la piccola isola ospitò una prigione, trasformata verso il 1960 in carcere di massima sicurezza, il cui detenuto più illustre è stato senza subbio Nelson Mandela.
Le guide locali sono ex detenuti politici che vivono sull’isola e svolgono il compito, assai delicato, di raccontare la vita quotidiana dei reclusi, i sistemi per riuscire a comunicare tra loro nonostante i divieti onnipresenti, le attività ricreative concesse, i rapporti con le guardie, gli accorgimenti per trasformare i lunghi anni di prigionia in milioni di piccoli pezzi di un disegno ideale, politico e umano, che superasse la solitudine delle ore inutili e la trasformasse in infiniti momenti di lotta e di resistenza. Ma il desiderio di libertà, che traspare dai racconti della guida, diviene immobile e disperato durante la visita alla cella di Nelson Mandela, incredibilmente piccola, nuda e desolante per l’assenza di suppellettili.
In Invictus, il film realizzato da Clint Eastwood nel 2009, Matt Damon interpreta Francois Pienaar, il capitano della nazionale sudafricana di rugby che, alla vigilia del Campionato del Mondo del 1995, dopo aver incontrato a Pretoria l’allora neo-presidente Mandela, decide di effettuare una visita a Robben Island. Lo sguardo attonito dell’attore si blocca per un attimo mentre visita la cella di Mandela. Quell’attimo di sospensione, forse il momento di maggior pathos del film, sembra durare quanto i lunghissimi anni di prigionia del Presidente: è un attimo-vita, nel quale avviene per il capitano della squadra una sorta di illuminazione, nonostante l’ombra cupa e oppressiva della cella. Il volume ristretto di un cubo di cemento si apre alla grandezza della nazione e gli spazi si trasformano in libertà, in desiderio di vincere una partita, di ricostruire il Sudafrica. È, quella di Francois Pienaar, l’espressione di un sentimento che è anche nostro, mentre percorriamo lo stretto corridoio sul quale si affacciano le celle del braccio di massima sicurezza. Usciti dalla prigione, il sapore del mare e il vento ci avvolgono e riappare in lontananza, emersa dall’oceano, l’immagine di una montagna immensa e della Mother City.

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03. CAPE PENINSULA

La Cape Peninsula, che dalla città si estende a sud per circa cinquanta chilometri, è uno dei luoghi del Capo più selvaggi e differenziati in termini di paesaggio, natura e caratteristiche ambientali. La sua costa orientale è separata dai centri abitati da una strada litoranea e dai binari della breve linea ferroviaria Cape Town-Simon’s Town; il tragitto in treno, fino all’avvento dell’automobile, rappresentò una suggestiva gita domenicale per la popolazione cittadina, mentre oggi appartiene alla quotidianità dei pendolari che si trasferiscono in città per lavoro. Il villaggio di Fish Hoek (valle del pesce, in afrikaans) e il piccolo promontorio di Glencairn sono sede di un’importante flotta di pescherecci e offrono un’atmosfera anni ’60, con gli immancabili Beetle (Maggiolino) multicolori e convertibili, sidecar, Volkswagen T2 trasformati in camper ante litteram, e con pub e coffee-shop prevalentemente frequentati dai surfisti. Questa variegata popolazione giovanile, costantemente concentrate sulle onde e sulle maree, costituisce una sorta di comunità pacifica e indipendente, che conferisce alla Peninsula un clima di relax e di easy-life.
Simon’s Town è la sede di una colonia di circa cinquemila pinguini, che si trovano più precisamente a Boulders Beach: la piccola spiaggia, protetta dai boulder, i macigni monolitici che ne delimitano lo sbocco su False Bay, presenta un itinerario che, di fronte a un mare di colore smeraldo, si snoda tra le dune di sabbia e la vegetazione di arbusti, che proteggono le tane nelle quali i pinguini si rifugiano per ripararsi dal sole, per covare le uova e per allevare i pulcini nei loro primi periodi di vita.
Proseguendo verso la punta delle Penisola, l’atmosfera diviene sempre più selvaggia. Superato l’ingresso della Cape Point Nature Reserve, la vegetazione diviene più rada, la prospettiva si ampia e il silenzio diviene assoluto. All’interno della riserva, la strada si biforca: un tratto scende sulla costa occidentale, in un punto terminale, contrassegnato da un cartello come il luogo più a sud-ovest del continente africano.  Questa dizione spesso trae in inganno il viaggiatore poco accorto, il quale ritiene di trovarsi nel punto più a sud dell’Africa, dove l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano si incontrano, ma non è affatto così: il luogo nel quale i due oceani si fondono è Cape Agulhas, oltre duecento chilometri a est, ed è il punto più meridionale del continente. L’altro tratto di strada porta a Cape Point, dove un trenino a cremagliera sale al faro, posto all’estremità del promontorio della Penisola, su una roccia a picco sul mare. Da questo punto, narra la leggenda dell’Olandese Volante, nelle notti di bufera è possibile scorgere il vascello fantasma solcare disperato l’oceano: dopo il fallimento dello scellerato patto sancito dal suo comandante, Vanderdecken, con il Diavolo, il vascello è condannato a vagare per sempre, senza sosta.
Lasciato il parco e seguendo la strada costiera sul versante occidentale della Cape Peninsula, la forza del paesaggio riesce, ancora una volta, a catturare gli occhi del viaggiatore e a stupirlo: Chapman’s Peak Drive è ritenuto uno dei percorsi costieri più spettacolari del mondo. Il percorso, in alcuni tratti scavato nella roccia, si affaccia sull’oceano e offre un panorama incantevole, a picco sul mare: lo scenario è disegnato dal profilo leggero di pini marittimi e di Eucalyptus, e si arricchisce con la catena rocciosa dei XII Apostles, i dodici contrafforti rocciosi che dominano Camps Bay e Victoria Road.
L’atmosfera della Cape Peninsula, che ci ha accompagnato lungo il suo intero perimetro, non riesce a dissolversi nemmeno durante l’ampia e veloce discesa lungo Kloof Nek verso il centro di Cape Town: l’improvvisa emozione, quasi surreale, di trovarci di fronte alla città e al di sopra dei grattacieli non interrompe il silenzio di False Bay e non cancella gli azzardati percorsi tra le rocce di Chapman’s Peak. Cape Town e la sua terra sono un’esperienza che segue un percorso circolare, nel quale emozioni forti e paesaggi inattesi si rincorrono senza fine.

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01. Mother City02. La città che narra03. Cape Peninsula – 04. Cape Winelands – 05. La Route 62 e il Little Karoo

04. CAPE WINELANDS

Le Cape Winelands costituiscono il primo splendido entroterra orientale alle spalle dell’enorme area metropolitana della città. È una regione fisica, che riporta all’Europa del 1600 e alle influenze olandesi e ugonotte che hanno modellato architettura, paesaggi e stile, ma è, più sottilmente, un entroterra culturale: è l’area nella quale la cultura afrikaans nasce, si sviluppa e muove i primi passi creando un popolo pioniere che, a tutt’oggi, costituisce un’entità politica e sociale molto caratterizzata nell’arcobaleno della nazione. Lungo un itinerario che rappresenta una sintesi incantevole tra storia e natura, appare delinearsi il rapporto di simbiosi tra l’azione dell’uomo e una terra che, sin dai primi anni del ’700, fu destinata alla produzione vinicola e divenne, nell’arco di pochi decenni, una delle regioni più scenografiche del Western Cape.
Allontanarsi da Cape Town per raggiungere Stellenbosch, nel cuore delle Cape Winelands, significa abbandonare una metropoli e percorrere a ritroso, nell’arco di circa quaranta minuti d’auto, un periodo di almeno tre secoli, collocandosi su un palcoscenico paesaggistico idilliaco, dai tratti quasi surreali. Una volta entrati nella regione, la prima vera emozione è data dalla dolcezza delle colline che costituiscono, con i loro estesi vigneti che punteggiano le vallate, uno spettacolare sfondo naturale. Appare agli occhi del viaggiatore un ambiente bucolico, dominato da estese coltivazioni, montagne dalle forme bizzarre, fattorie, aziende vinicole secolari e minuscoli villaggi collocati sui pendii.
Le Winelands costituiscono il nucleo pulsante dell’economia vinicola sudafricana: sono il luogo nel quale la storia del Sudafrica ha mosso i primi passi nella colonizzazione dell’entroterra e rappresentano la celebrazione assoluta di tutto ciò che riguarda il mondo del vino, la sua storia e la sua evoluzione. Il vino sudafricano è stato, sin dall’inizio, il motore per lo sviluppo dell’economia e la terra che l’ha generato è la culla di un processo agroalimentare e produttivo che non si è limitato alla coltivazione di vitigni, ma ha stimolato architettura, cultura, arte e politica. Queste terre raccontano anche la storia di generazioni, prima schiavi, poi lavoratori agricoli, che hanno contribuito a creare e mantenere intatta nei secoli l’architettura naturale ed economica di un simile paesaggio, nonostante le drammatiche condizioni di vita e le leggi che le hanno governate.
Stellenbosch è al centro di tutto ciò e rappresenta un modello unico in tutta la nazione. In questa città storica convivono due anime, opposte tra loro, che hanno creato un’atmosfera assolutamente unica per una nazione relativamente giovane come il Sudafrica: il senso della storia, della tradizone e dell’antico, riscontrabili sul volto di edifici e monumenti e consolidatosi nella mentalità tradizionalmente conservatrice della città, convive infatti con gli studenti dell’università locale, che conferiscono al luogo un’impronta di vivacità, di movimento e di inevitabile tendenza a una visione più liberal rispetto al passato.
La popolazione di Stellenbosch, che si è dedicata per secoli alle attività connesse al mondo del vino, ha subito negli ultimi decenni una graduale trasformazione professionale e attualmente si dedica anche ad attività che nulla hanno a che vedere con l’enologia e con la viticoltura; in città abitano artisti, architetti, giornalisti e commercianti d’arte che, in alternativa all’Hustle & bustle Cape Town, hanno eletto Stellenbosch e l’atmosfera meditativa che vi si respira loro dimora permanente. Vivere a Stellenbosch è una scelta e i residenti recenti superano, attualmente, i cittadini che la abitano da generazioni, a testimonianza che questo luogo continua ad attrarre persone in cerca di una dimensione storica e di radici che mantengano vivo il rapporto con un passato che traspare quotidianamente tra questi viali di querce.

01. Mother City02. La città che narra03. Cape Peninsula04. Cape Winelands – 05. La Route 62 e il Little Karoo

05. LA ROUTE 62 E IL LITTLE KAROO

Petto mi descrive la passione per la sua Harley-Davidson con lo stesso trasporto emotivo con cui racconta del suo PhD in Pedagogia Speciale, conseguito presso la Stellenbosch University qualche anno fa. Non nomina mai la moto, ma l’appellativo degno di lei è “my old lady”, a indicare il rapporto di stretta corrispondenza e comprensione esistente tra lui e il capolavoro di rilfessi cromati che ci sta di fronte. La moglie, anch’essa cultrice delle due ruote, è compagna di vita, di avventure e di sogni come lo sono le due motociclette, affettuosamente curate e coccolate nel garage della casa da cui si ammira il panorama della Mother City.
È fondamentale il chiarimento, senza il quale non potremmo capirci: l’Harley è una scelta esistenziale, fatta con fedeltà ripagata da anni di sensazioni indimenticabili, e le due ruote sono l’unico modo per capire, amare e fare propria la terra che il Sudafrica ha donato all’uomo. Solo respirando il freddo di un mattino che sferza il volto, ascoltando il rumore del vento e percependo la superficie delle strade attraverso le gomme, che diventano sensibili come polpastrelli, si può davvero entrare in contatto fisico e mentale con i paesaggi che Petto e Leonie hanno attraversato, ormai centinaia di volte, in sella ai loro cavalli d’acciaio, ammirandone i colori e ascoltandone i profumi.
Leonie mi sottolinea con nostalgia che un vero “must”, un’esperienza imperdibile per chi ama viaggiare in moto, è la Route 62. Questo percorso si snoda lungo il Little Karoo in un susseguirsi di verdi vallate, passi di montagna e suggestivi burroni che si rincorrono lungo i pendii di catene montuose. Costruita con notevoli sforzi umani – alcuni valichi sono stati letteralmente scavati nella roccia – costituisce uno dei percorsi paesaggisticamente più vari e scenografici del Western Cape.
L’arrivo a Montague, la prima e più importante cittadina della Route 62 e del Little Karoo, è assolutamente spettacolare: la strada offre, dall’alto, una vista sul fiume, sui vigneti e sulle valli circostanti, ed, improvvisamente, appare la cittadina. Montague ospita una ventina di edifici storici in stile Old Dutch e Georgiano, recentemente proclamati monumenti nazionali.
Barrydale e Ladismith, più avanti, sono villaggi che appaiono quasi cinematograficamente, offrendo ai nostri occhi una vera e propria carrellata di scatti che catturano i negozi ottocenteschi, i coffe-shops, gli empori e le stazioni di rifornimento affacciati sulla strada principale; sono immutati nel tempo e ci riportano a momenti di una quotidianità rurale che pare essersi fermata per sempre. La vita di questi villaggi dai nomi altisonanti, collegati a Governatori del Capo o a membri della loro famiglia, è di fatto ancora cadenzata da ritmi ottocenteschi: allevamento e agricoltura, attività forestali, distillerie, piccoli commerci locali.
Ci avviciniamo a Oudtshoorn, cittadina che segna il limite orientale della Route 62 e del Little Karoo e che si sviluppò verso la fine dell’800 soprattutto con l’allevamento degli struzzi e il commercio delle loro piume, utilizzate in Inghilterra per abbellire abiti e ornamenti femminili. Oggi la cittadina conserva alcuni interessanti esempi di dimore vittoriane e di edifici storici.
La strada a nord di Oudtshhoorn si inerpica fino a raggiungere lo Swartberg Pass, forse il più spettacolare dei valichi sudafricani. Sul passo, a circa 1.500 metri slm, il verde della vallata di Oudtshoorn si interrompe improvvisamente e si apre l’infinito panorama colore ocra del Great Karoo. La vista regala la sensazione di trovarsi sul tetto del mondo, tra l’oceano, le vallate costiere e il luogo della grande sete. Qui si percepisce l’indiscutibile sensazione di trovarsi in una terra che cattura il cuore dell’uomo con scenari che superano il limite dell’immaginario e con una forte, illimitata sensazione di libertà.

Più che con la testa, è con l’anima che scegli di vivere a Cape Town.
Non c’è altro luogo, in tutta la devastante bellezza del Sudafrica,
che riesca ad ammaliarti con così feroce prepotenza…
Cape Town è in Sudafrica, e il Sudafrica da sempre è una realtà complessa, difficile da comprendere,
ma proprio per questo ancora più stimolante e affascinante da vivere.
È un Paese che richiede un estremo dispendio di energia.
Ti sfinisce, ti prende tutto quello che hai:
ma è questo l’unico posto al mondo dove, adesso, voglio vivere”.
André Brink

 

Video di:
. South Africa Tourism

Foto di:
. Craig Howes / Cape Town Tourism
. Hillary Fox | Cape Town Tourism
. Cape Town Tourism
. Lisa Burnell
. Silvia Turazza
. Rob Southey
. Massimo Cufino