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Dalla A alla Å

Bonetti - Dalla A alla A

B come BARNA: i piccoli norvegesi

Gli italiani fanno sempre meno figli, sempre più tardi: pochi bambini, molto seguiti da un esercito di adulti pronti a evitare le cadute, rimediare agli errori e colmare le piccole vite di attività e stimoli sempre nuovi. Il tasso di natalità in Norvegia è elevato, i figli unici sono una rarità e molti genitori hanno meno di trent’anni. Il risultato? I passeggini, le carrozzine e gli esseri umani di piccola statura sono moltissimi.
Questo, però, non coincide con diffuse urla degli adulti e strepitii dei piccini. Qui sembra che la condizione di genitore sia gestibile senza informare tutte le persone nell’arco di un chilometro circa le attività del pargolo.  Sembra, addirittura, che i piccoli possano avere un raggio di movimento indipendente superiore ai quaranta centimetri oltre i piedi degli adulti.

Due anni di lavoro al barnehage, la scuola materna norvegese, mi hanno mostrato la vita quotidiana di questi piccoli nordici. All’inizio, lo ammetto, ero molto colpita da questa libertà di azione, dalla fiducia posta nelle capacità di bambini tanto piccoli da stare appena in piedi. Poi, mi sono abituata. Certo, quando le colleghe non vedevano, mi sono affrettata a raddrizzare calzamaglie infilate al contrario da bambini di quattro anni (devono fare da soli, dicevano), a soffiare nasini colanti e ad accompagnare alla finestra chi voleva salutare i genitori prima che andassero al lavoro.

I bambini di un anno mangiano da soli lo yogurt. Indossano il grembiule plastificato, quello che si usa per dipingere, impugnano il cucchiaino in modo incerto e creano un capolavoro appiccicoso e profumato di frutta che parte dal naso e arriva fino al pavimento. La voce interiore della mamma italica mi suggeriva: intervieni, aiutalo, mangia poco, si macchia. Quando le colleghe si sono distratte, ho tentato di afferrare il cucchiaino per imboccare il piccolo umano sommerso dallo yogurt. La presa della manina è stata ferma e decisa: mangio da solo, grazie.

Il piccolo di casa che si arrampica lungo il tronco di una pianta e dondola seduto a cavalcioni di un ramo, sotto lo sguardo compiaciuto di papà, è per noi qualcosa di impensabile. Potrebbe cadere, potrebbe farsi male, potrebbe spaventarsi, potrebbe sporcare i vestiti. Se succede, rispondono i norvegesi, imparerà qualcosa. Se non succede, acquisirà fiducia in se stesso.

Quando un bambino cade, da queste parti, gli adulti osservano da lontano. Nel momento del capitombolo cerca lo sguardo adulto, per capire come reagire: se la mamma accorre con aria spaventata, il piccolo classifica la sua caduta come grave e comincia a piangere. Se non si è trattato di una caduta grave, con ferite e sangue, i norvegesi si limitano a dire: “Dai, rialzati!” sorridendo. In caso contrario, naturalmente, corrono ai ripari: non siamo a Sparta!

L’alimentazione nelle scuole è vincolata da regole rigide per educare fin dall’infanzia a una dieta semplice e sana: i dolci compaiono soltanto in occasione di feste e nei fine settimana, così come le bevande gassate e zuccherate. La frutta e la verdura sono presenti in tavola ogni giorno, insieme a pane integrale, carne, pesce e latte. Talvolta il rispetto del libero arbitrio infantile è eccessivo: molti bambini scelgono ogni giorno lo stesso pålegg (accompagnamento al pane) e gli adulti non tentano nemmeno di proporre alternative. Prima o poi, forse è questa la loro speranza, si stuferanno o faranno indigestione.

Il rapporto con la natura si sviluppa fin dall’infanzia. Il clima rigido non è un impedimento, il gioco all’aria aperta è un appuntamento quotidiano, con la neve, con la pioggia e con il sole. Tute imbottite, simili a quelle da sci, più scarponcini per l’inverno; salopette e giacca impermeabile più stivali di gomma, per divertirsi con la pioggia; maglietta, pantaloni corti, crema solare e cappellino, nei lunghi giorni estivi: i vestiti si adattano al clima.  Nel Nord del paese, dove il sole per mesi non riesce a superare la linea dell’orizzonte, si gioca comunque all’aperto, approfittando delle poche ore di alba-tramonto in cui la luce bluastra si riflette sulla neve. Un insegnante locale mi spiega che i bambini escono sempre, tranne quando la temperatura scende sotto i -15°: che sia quella la linea di confine tra bambino e pinguino?

Non mi sento di dire che questi bambini siano più felici di quelli italiani, credo che la felicità sia una caratteristica dell’infanzia, indipendentemente dal luogo in cui si cresce. Ho notato un minore protagonismo dei più piccoli: il loro arrivo arricchisce la vita dei genitori, non la stravolge. A volte ho l’impressione che i bambini italiani siano trattati come star: tutta la famiglia li osserva, tutti accorrono se il piccolo cade, tutti tacciono se il bimbo parla. Forse perché sono pochi, piccoli miracoli in un paese sempre più anziano.

Volendo trovare un difetto al modello educativo norvegese, a volte il tentativo di stimolare l’indipendenza è eccessivo. Ci sono bambini che, con atteggiamenti esasperati, dimostrano il bisogno di una presenza adulta vicino: piccoli cicloni che, nel loro caos, chiedono solo di essere abbracciati, di essere presi per mano, come tutti i bambini.

estratto da … Dalla A alla Å

Bonetti - Dalla A alla A

L’autrice Camilla Bonetti intervistata nel 2016 da Iara Heide