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La città perduta di Machu Picchu

Machu Picchu Perù

Misteriose e inquietanti appaiono al viaggiatore le affascinanti rovine di Machu Picchu: la città perduta degli Inca, sospesa al confine tra terra e cielo.

Il ferrocarril a scartamento ridotto parte da Cuzco all’alba e noi prendiamo quello delle sei e mezza per arrivare alla stazione di Aguas Calientes, sita a 2.040 metri, dopo circa quattro ore di sobbalzi, scricchiolii e scossoni da brivido. Per uscire dalla valle di Cuzco il trenino deve compiere quattro zig-zag avanti e indietro tra le case della periferia per guadagnare quota e raggiungere così l’altopiano. Altri due zig-zag si trovano dopo circa un’ora di tragitto quando si deve guadagnare la discesa verso la valle sacra. Il treno deve viaggiare a zig-zag perché in queste strette valli non è stato possibile realizzare le curve.

La valle dell’Urubamba, tropicale, ricca di verde, rilassante con le sue coltivazioni ad andenes, fa da anticamera al più spettacolare tratto finale, quando la ferrovia, superato Ollantaytambo, costeggia da vicino l’impetuoso Urubamba in uno spettacolare panorama di fitte foreste, torrenti, ponti sospesi e piccole stazioni dove centinaia di venditori ambulanti, all’arrivo del treno, si accalcano per offrire al passeggero pannocchie bollite, frutta, chicha, coca-cola, tappeti e altre vettovaglie, mentre il capotreno con uno strano e rudimentale apparecchio telefonico si inserisce nella linea per collegarsi con la stazione successiva e ottenere l’autorizzazione a ripartire (questa linea ferroviaria ha un solo binario).

Lungo i binari della stazione di Aguas Calientes è sorto un caotico villaggio dall’aspetto western dove la vita si svolge praticamente lungo le banchine e nei negozi-bazar che si affacciano su di queste.

L’area archeologica

Un primo sentiero in salita conduce alla “pietra sacrificale” o osservatorio celeste di Intipunku, dove lo spettacolo che si apre ai nostri occhi è imponente: la città di pietra è un’opera portentosa d’architettura e ingegneria civile; si trova adagiata su una sella posta tra due montagne, il Machu Picchu (2.300 metri montagna vecchia) e l’Huayna Picchu, più alto di 300 metri (montagna giovane), che scende a picco da tutti i lati fornendo una straordinaria difesa naturale e offrendo, nel contempo, una vista meravigliosa sulla sottostante valle dell’Urubamba.

Le rovine sono disposte su terrazze, a conferma che il luogo fu anche un centro agricolo oltre che una città di culto. Il motivo per cui questa città sia sorta e poi sia stata abbandonata all’improvviso è rimasto un mistero. Essa rimase nascosta completamente coperta dalla giungla per quattro secoli finché Hiram Bingham la ritrovò nel 1911 con la spedizione “Yale-Peru’”. Un interrogativo turbò la spedizione e ancora oggi turba lo studioso: Machu Picchu era forse l’ultimo rifugio delle “vergini del sole”? Sconcerta sapere che le circa 200 mummie ritrovate erano in massima parte di giovani donne, il che avvalorerebbe questa ipotesi. Ma per noi questo luogo emana un’energia e un mistero che confonde, stupisce e pone inquietanti interrogativi sui troppi segreti che nasconderà per sempre.

Svanita la nebbia, che di prima mattina turbina fra le montagne e si sfilaccia tra le fortificazioni, entriamo dall’unica porta di accesso alla città fatata chiedendoci quale fu il “miracolo” urbanistico che permise una così ardita realizzazione. Colossali pietre, sovrapposte ad altre altrettanto colossali, tagliate scolpite e sollevate con maestria, formano palazzi, templi e case per un totale di circa 260 monumenti che occupano un’area di 700 metri di lunghezza per 500 di larghezza: urbanistica realizzata seguendo la coerenza inca che voleva la costruzione umana integrata all’ambiente naturale.

Non si conosce la data esatta della fondazione di Machu Picchu, tuttavia recenti ricerche fanno risalire i suoi edifici al 1440, periodo del regno dell’Inca Pachacutec. Sia l’urbanistica della città sia l’ubicazione dei suoi edifici sono del tutto simili a quelli riscontrati nelle altre zone archeologiche inca.

Hiram Bingham

Figlio di una famiglia di missionari, l’archeologo americano Hiram Bingham nacque a Honolulu nelle Hawaii nel 1875. Dopo il matrimonio con una ricca ereditiera, partì per il Perù con una spedizione organizzata dall’Università di Yale alla ricerca della mitica città inca di Vilcabamba, considerata l’estremo rifugio in cui si asserragliò l’ultimo Inca e organizzò la resistenza contro gli spagnoli.

La ricerca portò a un successo inaspettato: infatti, seguendo la valle del rio Urubamba, Bingham raccolse l’informazione di un campesino che gli riferì dell’esistenza di rovine ubicate sulla sommità di Machu PicchuLa spedizione dovette arrampicarsi sulla montagna facendosi largo nell’intricata giungla tropicale e, una volta raggiunta la cima, vennero scoperte costruzioni avvolte nella folta vegetazione.

La data ufficiale del ritrovamento della città di Machu Picchu è il 24 luglio 1911, anche se in effetti sembra che, dell’esistenza del luogo, si sapesse già dall’inizio del secolo. Le strani voci che circolavano tra i contadini della valle erano addirittura giunte fino a Cuzco. Alla città venne dato il nome della montagna su cui sorgeva, non essendo gli studiosi riusciti a identificarla con nessun’altra antica città inca. Dopo il ritrovamento ci vollero oltre cinque anni prima di poterla liberare dall’avvilluppata vegetazione e riportarla completamente alla luce.

Bingham ritornò nella zona con altre tre spedizioni nel 1912, nel 1914 e nel 1915. Dieci anni dopo venne eletto governatore del Connecticut e dallo stesso anno fino al 1933 fu senatore degli Stati Uniti d’America. Morì nel 1956.

Estratto dalla guida PERÙ

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