Le Norie dell’Oronte
Le pasticcerie di Hama erano in festa: decine di uomini dai baffi neri sfilavano davanti a dolci che grondavano miele, ma tutti, sotto lo sguardo attento dei bambini, compravano chili di Halawat Al-Jibn, il dolce locale a base di formaggio la cui pasta filante, spolverata di pistacchi, avrebbe imbandito le tavole siriane per tutta la durata del Festival di Primavera.
Nella luce del pomeriggio le Norie ricordavano le grandi ruote panoramiche dei lunapark e l’acqua dell’Oronte si lasciava trasportare in alto con dolcezza, anche se adesso il suo viaggio non serviva più ad abbeverare case e giardini. Ogni tanto, vicino al parco cittadino, un giovane si staccava dal gruppo per arrampicarsi sulle vecchie pale di legno, e agli sguardi femminili offriva l’agilità delle gambe e il disegno di una schiena muscolosa. Il cigolio dell’antico sistema idraulico faceva da sonoro alla città: ascoltato dalle rive arrivava a fagocitare gli strilli dei bambini che giocavano vicino al fiume, da lontano assomigliava al brusio sommesso di un rumore meccanico; ma in entrambi i casi era difficile credere che qualcosa in quel suono potesse anche lontanamente ricordare la poesia di un canto, come qualcuno in passato aveva scritto.
Le pendici della collina che fin dalla preistoria aveva dato asilo all’uomo erano affollate da una cintura di bancarelle, un mercato che offriva dolci e vestiti. Era la fine di aprile e Hama celebrava la primavera con un grande corteo in cui sfilavano cavalli e dromedari, carri allegorici e tutti i simboli culturali del Paese, dagli antichi mestieri alle tende beduine. Le strade della città erano colorate di bandiere, e persone di ogni età annusavano l’aria felici, prima di inseguire i lampi di luce dei fuochi artificiali. Di tanto in tanto, quando il mio sguardo incrociava i loro occhi, ricevevo un saluto cortese.
Mi ero immersa lungamente in quella Siria così insolita ma a tarda sera, prima che le ruote venissero fermate per non disturbare il sonno della città, ero tornata a visitarle in quella parte di Hama sopravvissuta ai bombardamenti dell’82 e che ora si stendeva come un fazzoletto in mezzo alle nuove costruzioni, ma tenuto in disparte dalla gente, e male illuminato. Mentre mi avvicinavo a quel vecchio cuore ferito mi aveva sorpreso il suono delle Norie che la notte rendeva ora spettrale. Le pale erano ombre scure che mischiavano aria ed acqua e l’aspetto ludico che avevo colto nel pomeriggio sembrava essersi sciolto nell’Oronte, come una maschera che veniva indossata di giorno per offuscare i ricordi. C’era un richiamo in quel suono lugubre che obbligava all’ascolto e respingeva l’istinto di scappare dal buio per tornare a immergersi nella confusione della festa.
Erano bastati pochi istanti per capire, per riconoscere nel cigolio delle ruote i lamenti della strage, senza il diritto di giudicare la storia ma dando approdo ai suoi fantasmi.
estratto dal libro L’ISOLA DELLE CORRENTI