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Carretera Austral, strada senza uscita

Cile - Carretera Austral

Puerto Bertrand, sul lago omonimo, è formato da poche decine di basse case, poco lontane dalla costanera, il lungolago. Mi fermo davanti a una Hosteria mentre un piccolo bus raccoglie i pochi passeggeri che lasciano il paese nel vuoto più totale. Puerto Bertrand è un minuscolo villaggio in un’area sperduta del Cile, eppure un particolare lo fa sentire l’ombelico del mondo. Un cartello segnaletico informa quanto distano alcune località sparse nel globo. Da Puerto Guadal e Tortel, conosciute solo ai locali, si passa per Quito fino ad arrivare alle mitiche Kathmandu e Timbouctu. Vera chicca finale, l’indicazione per l’Eritrea: 11.300 km!

Cochrane mi infonde una strana sensazione. Pur essendo il secondo centro di importanza dopo Coyhaique, è molto più piccolo e silenzioso. Mentre in altre località sentivo la tranquillità come un valore, qui la avverto come un malore. Respiro un’atmosfera di rassegnazione, abbattimento per una vita che non può andare oltre il proprio lavoro, la casa e, al massimo, una bevuta in uno dei due bar del paese. Lascio la cittadina senza alcun rimpianto ma non senza aver riempito fino all’orlo il serbatoio di benzina. Oltre Cochrane non esistono altri distributori; forse è possibile trovare carburante sfuso in due villaggi successivi. Forse.

Ha inizio il tratto verso la zona più remota e voglio contare quante auto incontrerò, almeno nei 100 km di sterrato che mi separano dal bivio per Caleta Tortel, prossima tappa. Dopo alcune curve si costeggia la verde laguna Esmeralda per poi iniziare una salita attraverso boschi fitti. La discesa che segue è un po’ inquietante, con curve a gomito, ciottoli insidiosi e completa assenza di guard-rail. Poi, di nuovo, un taglio nel bosco. Finalmente incontro un uomo a cavallo. Un’occhiata al contachilometri: sono passati 49 km da Cochrane. La Carretera continua a incunearsi in boschi sempre più fitti dove quasi non filtra luce. L’unica traccia umana sono gli steccati che racchiudono ampi pascoli per l’allevamento, nient’altro. Ma, all’improvviso, ecco una jeep. Sono al km 85! Arrivo finalmente al bivio. Il resoconto finale conta: 15 mucche, 7 pecore, 4 cavalli, 3 umani e 1 veicolo. Tutto questo in un tratto pari alla Milano-Brescia!

Dopo aver costeggiato l’ansa di un fiume impreziosita da lussureggiante vegetazione, imbocco con il 4×4 un lungo rettilineo. La strada termina in una piazzola ma, con mio enorme stupore, il paese non c’è! Scendo dall’auto e mi affaccio a una balconata: Caleta Tortel è laggiù, stretta tra le acque del fiordo e le pareti ripide delle montagne. Impossibile costruire strade. Ecco, quindi, che una serie di passerelle e scale uniscono le abitazioni tra loro. Le case sono tutte in legno, così come la passerella principale, che segue la linea della costa ed è sorprendentemente lunga. Il centro del villaggio vanta gli edifici meglio tenuti, un paio di negozietti e, addirittura, un mini-market dove il carburante sfuso è venduto con un rincaro di quasi il 50%. Come ogni città del Sud America, anche Tortel prevede la propria Plaza de Armas. Non avendo, però, spazio a sufficienza, la piazza consiste in un semplice gazebo, ovviamente in legno, con all’interno tre panchine e un telefono pubblico. Uno dei lati è occupato da una grossa lavagna bianca, probabilmente il cinema del villaggio.

I venti km che seguono la deviazione per Tortel sono i più duri dell’intero percorso. La Carretera attraversa una gola stretta dove la superficie della strada presenta molti sassi e buche che rallentano ulteriormente l’andatura. Finalmente giungo a Puerto Yungai. “Gli ostacoli sono fatti per essere superati”. Un ben visibile cartello introduce agli ultimi 20 metri della Carretera prima che un fiordo la interrompa. Ma, come promesso dal cartello, un traghetto viene in soccorso per attraversare il fiordo Michel, alla cui estremità opposta riprende la Carretera, per il suo tratto conclusivo. Il fiordo si trasforma presto in valle, dove le acque dell’oceano lasciano la scena a un fiume. Una serie di tornanti impegnativi conduce a un altopiano dove dalla bassa vegetazione spuntano pochi alberi. Oltre, il mirador entre rios offre una splendida veduta sulla piana attraversata dai fiumi con vette innevate sullo sfondo.

Villa O’Higgins è l’ultimo villaggio della Carretera. È disposto a quadrato, con poche vie che lo sezionano. Manca poco alle 14 di un anonimo martedì e O’Higgins sembra un villaggio fantasma. Si fanno vivi solo i cani, che rincorrono e abbaiano alla mia jeep, in quello che sembra essere una distrazione molto comune da queste parti per gli amici a quattro zampe. Attorno, tra vette ricoperte di neve, si intravedono alcuni ghiacciai, ambasciatori dell’ormai vicino Campo de Hielo Sur.

Con Villa O’Higgins che si rimpicciolisce nel retrovisore, la Carretera prosegue per le ultime curve, quasi cercasse un luogo lontano dai pochi occhi indiscreti dove morire. L’erba che invade lo sterrato è un segnale dell’agonia; il lago O’Higgins ne segna inevitabilmente la fine. Ai lati, le montagne sembrano confluire verso un punto ignoto, reso ancor più misterioso dal grigiore delle nuvole basse che coprono l’area. Qui termina la Carretera Austral; qui inizia il ghiaccio eterno.

(leggi la prima parte)

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