Credo che la musica rivesta un’importanza fondamentale per la memoria. Anche chi viaggia, per passione o mestiere, soprattutto oggi, grazie alla tecnologia, non può esimersi dal considerare la musica come parte integrante della propria esperienza. Legata alle emozioni forti, ad attimi peculiari, la musica amplifica ciò che si prova e rende più vivida e permanente l’esperienza vissuta. Qui mi limito solo ad accennare alcuni brani che hanno caratterizzato qualche particolare momento e luogo durante i viaggi in Thailandia.
In quel di Koh Samui, una delle perle del Golfo di Thailandia, mi trovavo a ridosso della zona di Bophut, la spiaggia più tranquilla dell’isola. Di ritorno dal Fisherman Village e diretto al mio “resort” (un buco mezzo diroccato ma piacevole, posto in mezzo ad un intricatissimo dedalo di vialetti immersi nella foresta rigogliosa), a piedi e ancora ebbro dalle libagioni del Village, nell’oscurità più completa mi ritrovai sul serio in una “selva oscura”, impossibilitato a trovare la strada verso il riposo e la sicurezza del mio alloggio. All’inizio un certo timore mi pervase: anche se cosciente di trovarmi a poche centinaia di metri dal mare, mi ero perso davvero. Ad un certo punto mi accorsi dell’assurdità della mia ansia: ero in viaggio, in un luogo che ben conoscevo, un’isola, quindi più di tanto non avrei dovuto preoccuparmi. Si trattava, però, anche di qualcos’altro: ho sempre sostenuto che la parte più interessante di un viaggio sia l’occasione di potersi perdere. Ebbene, pensai, “ti sei perso, finalmente, e ti sei perso in un luogo che non presenta pericoli, non ci sono tigri e sei dotato di smartphone, quindi goditela e sii felice”. Mi sedetti su un tronco abbattuto, mi misi comodo e per rilassarmi scelsi la musica. La scelta ricadde su uno dei jazzisti italiani che preferisco, Paolo Fresu. Il brano era “No Potho Reposare”, versione derivata dalla poesia di Salvatore Sini, scritta nel 1915 e musicata da Giuseppe Rachel nel 1920. La versione attuale, con Paolo Fresu al flicorno, Jan Lundgren al pianoforte, Lars Daniellson al contrabbasso e Clarence Penn alla batteria, è stupenda e rende onore ad una canzone di origine folkloristica che contiene molto dell’anima sarda.
Altro viaggio altra musica: provincia di Nan, remota e magnifica, misconosciuta ai più e proprio per questo degna di essere visitata e conosciuta al meglio. Dopo parecchio tempo dedicato alla conoscenza del posto e, soprattutto, alla frequentazione di persone meravigliose, giunse il momento della partenza che, anche per chi è abituato a lasciarsi alle spalle ogni luogo perché sa che il viaggio “deve” proseguire, a volte regala una malinconia e una sofferenza che mescolano sentimenti diversi e l’incognita possibilità di poter un giorno tornare. Sullo scassatissimo pullmann che mi portava via, diretto a sud verso il caos di Bangkok, mi rendevo conto, guardando dai finestrini la cittadina che si allontanava, che gli angeli promessi dalla metropoli (Bangkok, Krung Thep, “la citta degli angeli”) non erano nulla in confronto a quelli reali e gentili, premurosi e disponibili che stavo lasciando: “Let down”, dei Radiohead (album Ok Computer, 1997), fu testimone del mio stato d’animo e mi aiutò a fissare il ricordo indelebilmente nella memoria.
Dall’autobus al treno, ricordo un interminabile viaggio di circa 26 ore da Trang, estremo sud della Thailandia, a Surin, nel profondo Isaan. “Downtown Train” (album Rain Dogs, 1985) e la voce inconfondibile di Tom Waits mi hanno accompagnato specialmente di notte, quando il paesaggio cambia dai palmeti alle risaie rinsecchite, nel silenzio delle campagne, accompagnandomi stretto fra la nostalgia per i luoghi che si lasciano e il desiderio sempre presente di appagare la curiosità per i luoghi verso cui si viaggia.
Anche la città, la più caotica del mondo forse, Bangkok, offre momenti di piena solitudine ed emozioni latenti pronte ad emergere casualmente quando meno te lo aspetti: diretto verso il centro (se così si può definire l’indefinibile caos di Rattanakosin, l’isola fluviale che contiene i più antichi quartieri della capitale), può capitare di vagare con la mente ed essere impazienti di giungere alla meta. Ciò che ci aspetta è confusione, rumore, caos, meraviglia e sorprese dietro ogni angolo.
Non è vero che la Thailandia autentica è solo quella rurale. Spesso basta girare un angolo, entrare in un “trok” (vicolo) per trovarsi in un altro mondo, in una realtà distante anni luce dalle sfavillanti meraviglie turistiche che sanno di plastica e neon, di artificio ad uso e consumo degli stranieri, una realtà che prevede piccoli giardini coltivati da anziani sorridenti sulle palafitte che costeggiano i “klong” (canali) e famiglie intente a consumare i pasti in abitazioni più simili a garage che a vere case. La vita vera è lì, a portata di tutti quelli che la vogliono osservare, e la corsa sullo Skytrain, il treno sospeso che attraversa la città e permette di osservare dall’alto il pazzesco incubo rappresentato dal traffico ultracaotico nelle strade, consente di “sentire” l’avvicinarsi della meta: “Last Train Home” (Still Life (talking) 1987), con la virtuosa chitarra Coral Sitar al debutto nelle sapienti mani di Pat Metheny, rende l’esperienza esaltante e colora il viaggio con il crescendo delle note, spingendo l’adrenalina al massimo, pronti per tuffarsi a cuore aperto nell’esperienza unica che solo Bangkok riesce ad offrire, seguendo i profumi, i colori, i suoni di un’umanità in perenne movimento.
Molto bello! Mi ci ritrovo ! Con le cuffie il mondo diventa silenzioso e paradossalmente si osserva con piu attenzione… ❤️ Grazie Polaris come ogni lettura a vostro marchio è un piacere