La metropoli della costa, la Perla d’Oriente attraversata dal fiume Huangpu, è la porta della Cina spalancata sul mondo. Appena atterrati all’Aeroporto Internazionale di Pudong si prende nuovamente il volo a bordo del Maglev, il treno a levitazione magnetica che percorre una trentina di chilometri alla velocità di 400km/h. Ci vogliono solo otto minuti per arrivare dal terminal alla fermata metro di Longyang a Pudong, dove fino al 1990 vivevano solo pochi contadini che coltivavano fazzoletti di terra tra vasti acquitrini. Oggi Pudong è una ZES (Zona Economica Speciale), voluta da Deng Xiaoping come testa del drago emergente della Nuova Cina.
Dal Bund, il viale lungo la riva sinistra dello Huangpu che fronteggia il quartiere degli affari di Pudong, lo skyline è affascinante. Tra le vette dei più famosi grattacieli del mondo, spicca la Oriental Pearl Tower, alta 500 metri, che offre una vista panoramica dalla terrazza incastonata a metà altezza. Poco distante l’altissimo grattacielo Jinmao (Commercio Dorato) ha un ristorante all’ottantottesimo piano da cui si gode una spettacolare vista su Shanghai. Accanto sorge il Shanghai World Financial Center, un miscuglio di grandezza, suscettibilità e delirio di onnipotenza. La Shanghai Tower, con i suoi 632 metri inaugurati nel 2015, è il grattacielo più alto della Cina e il secondo più alto al mondo, superato solo dal Burj Khalifa di Dubai. L’hotel Jin Jiang, posizionato tra 84° e il 110° piano, è l’hotel più alto nel mondo.
Sul Bund ieri e domani si incontrano oggi. Passeggiando tra gli eleganti edifici neoclassici eretti nei primi anni del XX secolo come effigi dei rispettivi imperi coloniali, si ripercorrono i passi di coloro che si avventurarono in cerca di fortuna a Shanghai, ammassarono denaro da riportare in patria e si lasciarono incantare dalle arti amatorie di splendide donne cinesi. Ciò accade ancora oggi. La folla di stranieri che si riversa di nuovo in città, dopo circa un secolo, ricorda in modo irresistibile l’epoca d’oro del colonialismo.
Quando le luci si accendono e i locali prendono vita, sei musicisti, la cui età media è 82 anni, compongono la leggendaria Old Jazz Band del Peace Hotel. Pianoforte, armonica, violoncello, sax e tromba accompagnano talvolta una Shanghai Diva, che scivola tra arredi vintage autentici e trasporta nei club privati degli anni ’20 e ’30 l’immaginazione dell’ospite, allietandolo con un’infinita lista di cocktail in voga a quei tempi. Poco distante, l’appuntamento con la musica house è d’obbligo al Bar Rouge, il club più famoso di Shanghai, che definisce lo standard della vita notturna del Bund. Con la sua terrazza panoramica e gli interni eleganti e raffinati, rappresenta l’iconica identità sino-francese. Qui chiacchierano animatamente i supereroi moderni e globali, che tengono le redini del dragone tentando di cavalcare, tra le onde di una vita adrenalinica, le loro start-up.
All’alba lungo le rive del fiume, le nuove tigri lasciano il posto agli antichi, lenti e sinuosi movimenti di Taijiquan. Questi evidenti contrasti, in una perfetta armonia degli opposti Yin e Yang, non bastano a rendere Shanghai la città dove tutto è possibile. Se l’immortalità taoista è auspicabile attraverso la costante pratica di esercizi di arti marziali che giovano all’energia vitale, la morte può essere simulata per soli 444 yuan. Il numero quattro in cinese si pronuncia allo stesso modo del carattere “morte”. Alla Lingxin Culture and Communication Company si può sperimentare il proprio funerale e organizzare la propria “esperienza di morte”. L’attrazione si chiama Xinglai, che significa “risveglio”, permette ai partecipanti di essere “uccisi” dai loro compagni di avventura, essere cremati e poi rinascere, uscendo da uno scivolo che si chiude in un foro di lattice, come fosse un utero. “Se non conosci la morte, come conoscerai la vita?” sostengono i creatori Huange Weiping e Ding Rui.
Certo lo potrebbero raccontare i fantasmi di quello che fu uno dei più grandi macelli dell’Asia Orientale: il 1933 Old Millfun. Progettato da un architetto britannico, è stato costruito nel 1933, da cui il nome, nello storico distretto di Hongkou. Se all’esterno dà l’impressione di un vecchio edificio decadente, l’interno ammalia i visitatori, grazie a spazi labirintici e irregolari, dando vita ad un esempio architettonico unico nel suo genere, che ospita ristoranti di classe, boutique creative, uffici di designer, una corporazione di artisti e varie istituzioni educative all’insegna della ricerca di ispirazione.
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Sono stato al Peace Hotel di Shanghai ad ascoltare Jazz nell’ormai lontano 1985. Era una vera oasi di pace. Vincenzo