Con quale modesto alfabeto posso raccontare cos’è la mia nostalgia per l’India? Quella che provo tutti i giorni, tutte le mattine quando mi alzo. È difficile dare voce a qualcosa che si muove dentro, nello stomaco, in profondità. Avventurosi esploratori del deserto del Sahara, Piccoli Principi a caccia di amici, viaggiatori leggendari in cerca di popoli mitici, da sempre ci raccontano il Maldafrica. Ma esiste un altro male, anche questo buono, buonissimo. Un male buono che ti entra dentro all’anima e non ti lascia più. Si chiama Maldindia.
Il Maldindia è lì all’aeroporto appena ci arrivi, in India, tra le case di Delhi o di Mumbai. Non lo vedi ma c’è. Il Maldindia è nell’aria prepotente, solida, monsonica. Quell’aria che appena si apre il portellone dell’aereo ti salta addosso e quasi ti stordisce: aria unica e inimitabile dell’India. Il Maldindia lo senti soprattutto alla sera, nei villaggi, quando in fondo alla valle si accendono piccole luce: e sono candele, fuochi, piccoli fuochi attorno ai quali famiglie intere a più generazioni mangiano quello che hanno raccolto durante il giorno nei campi.
Il Maldindia è per la strada, le mille strade dell’India, e lo vedi negli occhi lucidi della gente che ti guarda e ti trova buffo, perché sei vestito da marziano, col tuo cappello da turista e la macchina fotografica sempre pronta e piena di click! Il Maldindia c’è e ti cammina dentro.
Ma come posso dire? Il Maldindia è quella sensazione che ti spinge a non voler mai tornare a casa quando sei lì, in India, e ti fa venire subito voglia di ripartire, per l’India, appena torni a casa.
Per me l’India è stata l’occasione per cambiarmi la vita. Un’occasione per costruire ponti, per mettermi in contatto con parti remote di me che non sapevo neppure di avere.
Ferdinand de Lanoye dice: “Ci sono mille porte per entrare in India ma nemmeno una per uscirne”.
È così: proprio così. Fortemente così. Terribilmente così. Ma anche … piacevolmente così.
Tornare in India
In viaggio. Di nuovo in viaggio. Ho riempito la valigia di poche cose. Un libro importante, una Moleskine per gli appunti, una coperta di Linus. Poca biancheria. Un kurta pijiama di cotone bianco mi aspetta in uno dei mercati di Delhi. So che mi vestirò all’indiana fin dal primo giorno.
Nel cielo silenzioso e immobile della nuova Germania, un sole rosso si accende a Oriente. Il motore del Boeing 747 romba veloce sulla pista e mi incolla alla sedia. Le ruote si staccano da terra e sento una piacevole sensazione di leggerezza: il cordone ombelicale si spezza e mi libera nel cielo, verso il cuore del mondo. Asia, piccolo nome di donna tutto al femminile. Culla di religioni millenarie. Asia, donna seducente che conquista e confonde, come un ottimo vino.
Sopra le nuvole che saltano le frontiere, vado in bilico tra la vita e la non-vita. Cielo, terra di mezzo, dimora degli dèi dove tutto è transitorio, dove non si abita, dove si è fragilmente aggrappati al volere di un uomo, uno soltanto: quello che guida l’aereo. Là sotto, vedo i minareti di Istanbul. Tra poco verranno Baghdad, Samarcanda e Kabul. Sarà la volta di Lahore, infine Delhi… dove sentirsi a casa. Tornare in India. Ancora una volta dopo tante volte. Come se l’India fosse qualcosa che si può lasciare. L’essere stato via è come aver vissuto in un tempo sospeso, un tempo-non tempo: perché una volta che hai l’India dentro non puoi più farne a meno.
Poi, dietro a un presepe infinito di piccole luci, Delhi appare. L’aereo si abbassa ed entra nella solida, calda, umida, monsonica afa indiana. La tensione d’essere sospesi svanisce, la sensazione delle ruote del Boeing 747 che toccano terra, in un dolce tentativo di carezza, è liberatoria: siamo in India! Una campana suona. Lascio le scarpe fuori, entro in punta di piedi nella terra degli dèi.
Il viaggio è l’unico modo che conosco per conquistare equilibri, per rimanere fermo dentro. Tornare in India è un modo per parlare sottovoce con me stesso. Torno in India per nutrirmi della sua diversità, perché è attraverso la diversità che imparo a stare al mondo.
“Chiunque sia stato in India non solo con gli occhi,
come un viaggiatore di lusso, ma con tutta l’anima,
proverà sempre nostalgia per quella terra
che al minimo cenno continuerà a tornargli in mente”.
(Hermann Hesse)