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Isole Pontine

Polaris - Isole Pontine

Polaris - Isole PontineAbbiamo selezionato questi estratti dalla nostra guida per te
perché possa provare il piacere di leggere i libri Polaris

01. Ponza 02. Palmarola 03. Zannone 04. Ventotene 05. Santo Stefano

Per raccontarvi le suggestioni che le Isole Pontine sono capaci di regalare è necessario ripercorrere il ricordo di quella mattina quando, per la prima volta, si sono  dipinte ai nostri occhi. È un piacere ricercare nella mente quel cielo terso, quel mare azzurro così invitante e in lontananza la tavolozza di colori della macchia mediterranea, dal giallo della ginestra al viola del cisto. Scogliere frastagliate, a tratti ricche di vegetazione e a tratti spoglie, che nascondono grotte dalle tinte caleidoscopiche.
Questa è l’immagine che si ha dell’arcipelago pontino, un luogo dove è ancora possibile vivere il diretto contatto con una natura autentica e strabiliante e respirarne l’asprezza selvaggia. Recidere il cordone ombelicale con il “continente” viene spontaneo così come aprire l’animo alla poesia del mare, ai miti e alle leggende che in esso ancora vivono. Su queste isole i racconti fantastici sono narrati più che altrove perché è qui che la storia si mescola al mito fin dalla notte dei tempi. Ha quasi dell’incredibile pensare che queste acque siano state solcate dalla mitica imbarcazione di Ulisse, che a queste terre siano legate affascinanti figure come quella della maga Circe e delle sirene.
Seguendo gli itinerari proposti, scopriremo insieme ogni angolo, baia, spiaggia e promontorio della collana dorata e lucente che dalla magica Palmarola va fino allo splendente Scoglio di Santo Stefano. Ci emozioneremo alla vista di scorci mozzafiato dai cangianti colori smeraldo. Nell’intreccio di viuzze e mulattiere, conosceremo i pescatori e i marinai dell’isola; ogni tratto di costa saprà raccontarci una storia affascinante e ancora viva nella memoria dei suoi abitanti. Nell’intreccio di viuzze e mulattiere, conosceremo i pescatori e i marinai dell’isola; ogni tratto di costa saprà raccontarci una storia affascinante e ancora viva nella memoria dei suoi abitanti.

01. Ponza – 02. Palmarola 03. Zannone 04. Ventotene 05. Santo Stefano

01. PONZA

L’Odissea è la fonte più antica in cui si narra dell’esistenza di un’isola chiamata Eèa, adagiata nel mar Tirreno e collegata con il mito di Circe, dea terribile che trasforma gli uomini in animali. È verosimile che questa denominazione sia giunta a Omero attraverso i numerosi navigatori greci che solcavano quelle acque e che conoscevano queste isole come la dimora della mitica Eos, dea greca dell’aurora. Anche Giovanni Boccaccio, tra i maggiori narratori italiani ed europei, racconta di Ponza nel suo De genealogia deorum gentilium e la definisce “terra di oblio nelle delizie”. L’autore del Decamerone riferisce anche che quest’isola fu luogo di rifugio per le figlie degli dei destinate alla castità, ma che, una volta sull’isola, queste non rinunciarono all’eros, ammaliando i navigatori e tenendoli prigionieri nelle loro grotte. Irato per la loro condotta intervenne Giove, inviando a Monteblivione, così Boccaccio chiamava Ponza, quella maga Circe che tramutò i molli uomini in porci e le donne in sirene, condannando così le malcapitate a ripetere in eterno il loro canto ammaliatore e la loro condotta lasciva.
Il fascino incantatore di quest’isola si è mantenuto vivo e immutato nel tempo, tanto che ancora oggi i sui visitatori possono respirare la stessa aura magica vissuta dagli antichi navigatori che, nella sua sagoma stretta e contorta, vedevano il dorso di un immenso pesce venuto a galla dagli abissi. Prima di approdarvi, una volta doppiata l’isoletta di Zannone, la vista del piccolo molo ci attrae come un polo magnetico e il semicerchio di casette colorate cattura la nostra immaginazione. Qui tutto è contenuto, semplice, intimo, in grado di suscitare profonde emozioni, i nostri sguardi cominciano a spaziare impazienti, catturati dai riflessi fiammeggianti sull’acqua della baia di Santa Maria. In alto, le pareti rocciose a picco sul mare, grigie, verdi, rosse, gialle, cosparse di fitti cespugli di fichi d’India, di ginestre e di basse vegetazioni, cambiano il loro colore al mutar del sole, e narrano i veementi processi vulcanici dai quali l’isola nacque. Le terrazze degradanti sino al ciglio delle grandi pareti si specchiano sul mare creando giochi di colori meravigliosi influenzati dalle luci cangianti dall’alba al tramonto. Accanto a queste meraviglie naturali c’è l’opera dell’uomo: i due principali nuclei abitativi di Ponza, caratterizzati da specifiche e diverse origini storiche che non nascondono tuttavia la comune derivazione partenopea ancora oggi visibile nelle costruzioni, nei nomi delle località, nel dialetto e persino nella cucina. Del resto Ponza fu abbandonata per un lungo periodo e, a metà del Settecento, forzatamente ripopolata proprio da famiglie di Ischia e di Torre del Greco, per ordine del re Carlo III di Borbone.

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01. Ponza  – 02. Palmarola – 03. Zannone 04. Ventotene 05. Santo Stefano

02. PALMAROLA

A sole sei miglia da Ponza si erge in tutta la sua stupefacente bellezza l’Isola di Palmarola, disabitata e silenziosa, che si estende per soli 136 ettari. È caratterizzata da rocce frastagliate e insenature selvagge, punteggiate da palme nane, unica pianta della specie originaria dell’Europa e dalla quale l’isola prende il nome. È proprio il colore verde smeraldo di questa palma che, riflettendosi nel mare trasparente, fa di questo habitat un posto da sogno, un luogo unico al mondo che ha lasciato una tavolozza di colori indelebili nell’animo di chi scrive. Non è un caso che viaggiatori di calibro internazionale abbiano speso meravigliose parole per sottolineare la bellezza di questo ambiente: il grande oceanografo Jacques-Yves Cousteau, a bordo della sua Calypso, ha classificato quest’isola come la più bella del Mediterraneo, mentre il famoso documentarista Folco Quilici la considera una delle terre emerse più belle del nostro pianeta. È così, la natura a Palmarola è stata particolarmente generosa; coi suoi faraglioni, le grotte, le calette dall’acqua cristallina, le imponenti scogliere basaltiche, l’isola è un gioiello di rara bellezza, dal punto di vista naturalistico e paesaggistico, sia sopra che sotto il mare. Partorita con forza dalle viscere incandescenti di Madre Terra, l’isola testimonia e celebra la sua nascita con colori grigio chiaro, rossastri, neri, e con l’incredibile varietà delle sue rocce dalle forme spettacolari.
L’antica Palmaria venne frequentata sporadicamente dall’uomo: a parte gli uomini del Neolitico provenienti dal Circeo e qualche gruppo di corsari, l’isola è infatti rimasta nel tempo per lo più disabitata. A nulla valse la politica di colonizzazione promossa dai Borbone, la cui impresa non ebbe successo probabilmente a causa dell’assenza di siti riparati dove fosse possibile edificare un porto. Ancora oggi l’unico approdo che l’isola offre è quello di Cala del Porto (dove però di porti non c’è traccia), più nota come Da O’ Francese, dal soprannome del vecchio proprietario dell’unico ristorante qui presente. Sulla parete della spiaggia vicina è ben visibile la vena di ossidiana nera, il vetro di origine vulcanica usato sin dall’antichità, basti pensare che l’uomo preistorico veniva dalla penisola italica a raccogliere questo tagliente vetro per costruire utensili e armi. Un minerale raro e prezioso che, dopo essere stato estratto a Palmarola, veniva lavorata a Ponza e a Zannone, dove sono stati rinvenuti dei resti, e usato come preziosa merce di scambio in tutto il Tirreno. Sulle pendici del monte, ben visibile a chi vi sbarca, si aprono poi decine e decine di grotte, dette i Vricci nel dialetto locale, scavate e abitate dagli agricoltori che qui tentarono di rubare terra coltivabile ai declivi dalla forte pendenza. Sull’isola, negli anni Settanta, è stata istituita un’oasi naturale per la salvaguardia dell’ambiente e per permettere il tranquillo passaggio degli uccelli migratori, dai pettirossi ai falchi pecchiaioli, dalle cicogne agli aironi, che a migliaia attraversano il cielo dell’isola in primavera e vi si posano in cerca di riposo.
Come ogni luogo mitico che si rispetti, anche Palmarola è in grado di sorprenderci rivelando le sue leggende: c’è, ad esempio, un posto speciale lungo la costa dove sembra celarsi la dimora di un piccolo demone, intento a infastidire i passanti lanciando loro dei sassi. Nascosto fra le aguzze lingue rocciose e i profondi crepacci del Varco della Forcina, questo luogo sembra davvero emanare un tetro fascino. Nella mente iniziano a plasmarsi immagini infernali e suoni spettrali e sembra di vederlo, tra quelle ombre, il piccolo demone infastidito dalla nostra presenza.
Una terra mitica come Palmarola non poteva farsi mancare il suo tesoro. Chissà quante ricchezze sono state sepolte fra i suoi scogli nel XVI e XVII secolo dai pirati barbareschi, che la utilizzavano come rifugio nelle pause dalle loro scorrerie lungo la costa italiana. Non sappiamo se questo tesoro esista davvero, ma una cosa è certa: su quest’isola sembra toccare l’apice quel sentimento che porta a fantasticare su luoghi simbolici dove cercare un tesoro. Di storie Palmarola potrebbe narrarne tante… una, in particolare, riporta in vita il mito e le gesta di Diomede. Si racconta che l’eroe omerico, tornato nella sua terra d’origine dopo la battaglia di Troia, fu vittima del tradimento ordito dalla moglie. Minacciato di morte riuscirà a fuggire verso quell’Italia che appariva ancora terra sconosciuta. Un violento naufragio pose fine al suo viaggio. Afrodite, protettrice dell’eroe, tramutò i suoi compagni in uccelli marini affinché il loro canto avvisasse i futuri navigatori sui pericoli di quelle coste e, al contempo, allietasse l’eterno sonno dell’eroe. La leggenda legata a questi uccelli, le berte (conosciute, non a caso, come diomedee) è profondamente radicata sull’isola, tanto che uno scoglio ha preso il nome singolare di Scoglio Pallante. È nelle notti di primavera, nel tempo in cui le berte covano le loro uova, che quel macigno sembra parlarci e il loro canto diviene colonna sonora di una favola immortale.

01. Ponza 02. Palmarola  – 03. Zannone – 04. Ventotene 05. Santo Stefano

03. ZANNONE

Sorge a nord-est di Ponza e per estensione è la terz’ultima isola dell’arcipelago. Non ha nessuna parentela con le sorellastre, non avendo infatti origine vulcanica ma calcarea. È costituita dai resti fossili di miliardi di organismi viventi, una vera e propria ex barriera corallina, e vanta un importante primato: proprio qui sono state trovate le rocce più antiche del Lazio, risalenti ai tempi dei dinosauri, in particolare al Triassico, circa 250 milioni di anni fa. La piccola Zannone potrebbe sembrare la meno spettacolare fra le isole, eppure anch’essa diventa una sorta di pietanza prelibata se i tre principali ingredienti, barca, mare e sole, vengono mescolati nel momento e nelle condizioni più opportune. Disabitata, l’isola fa parte da sempre del Parco nazionale del Circeo, in cui l’unico segno antropico, oltre al faro con annessa la casa del farista, è il rudere dell’antico convento benedettino. Nei suoi cento ettari abbondanti, l’isola ha mantenuto un paesaggio vegetale del tutto simile a quello che incontrarono i suoi primi visitatori migliaia di anni fa. Qui, infatti, a differenza di quanto accadde in tutto il resto dell’arcipelago, dove agguerriti coloni spazzarono via ogni traccia dell’originaria foresta, il bosco si è conservato straordinariamente intatto fino ai giorni nostri. Nel versante sud, rosmarino, lavanda, timo, lentisco ed erica si estendono formando una macchia bassa capace di resistere all’aridità, ai forti venti e alla salsedine. Un mix capace di sprigionare un magico e seducente aroma che raggiunge i naviganti in mare e annuncia la prossimità all’isola. Erica multiflora, cineraria, finocchio marino e ginestre sono le protagoniste indiscusse, invece, delle rocce più esposte e scoscese dell’isola. E ancora: piante che non nascono in nessun altro luogo del Lazio, come l’Adonis microcarpa, una ranuncolacea dai fiori gialli, e l’Asplenium obovatum, una piccola felce che cresce su rupi ombrose, presente anche a Ponza. A una flora ricca e diversificata si aggiunge una fauna caratteristica: Zannone ha la sua lucertola, chiamata Podarcis sicula patrizii, un piccolo rettile che vive esclusivamente qui e che si differenzia dalla comune lucertola campestre per via della colorazione più scura. Inoltre l’isola è meta di passaggio di varie specie di uccelli migratori, tra cui il falco pellegrino e il gabbiano reale.

01. Ponza 02. Palmarola 03. Zannone  – 04. Ventotene – 05. Santo Stefano

04. VENTOTENE

Un’aura di pace solenne si diffondeva all’intorno del vasto mare che avevo a fronte, e si profumava nell’azzurro delle sfere celesti: era una calma profonda quanto sublime ed arcana”. Era il lontano luglio del 1847 quando Pasquale Mattej, di ritorno da Ponza, si fermò sull’isola di Ventotene e, ammaliato dalla magica atmosfera che questa sprigionava, qualche anno più tardi decise di imprimere le sue emozioni nel libro che dedicò interamente all’arcipelago.
Non è difficile lasciarsi conquistare da questo prezioso gioiello in seno al Tirreno, la più piccola tra le isole abitate dell’arcipelago. Lunga poco più di due chilometri e larga la metà, è distesa al largo del Golfo di Gaeta, a metà rotta fra Ponza e Ischia. A dispetto della sua grandezza, è capace di racchiudere in sé tesori di vestigia antiche e di natura verace, che le hanno permesso di diventare la prima Area marina protetta del Lazio e Riserva naturale statale. In primavera, quando esplodono le fioriture, diventa un’oasi in mezzo al deserto marino per i piccoli e i grandi uccelli migratori, che dalle coste africane si dirigono in Europa seguendo la rotta sul mediterraneo. Sull’isola arrivano sfiniti dal viaggio e trovano rifugio e ristoro per proseguire, mentre in autunno diventa invece il loro trampolino di lancio per il ritorno in Africa. È questo il motivo per cui l’isola ospita una stazione scientifica per il censimento e lo studio dell’avifauna migratoria e un bellissimo Museo della Migrazione aperto tutto l’anno.
I suoi fondali, considerati fra i più belli del Mediterraneo, la rendono meta ambita per i subacquei: il suo mare cristallino, infatti, è ricco di fauna e, con un po’ di fortuna, permette incontri che si imprimono nella memoria, come quello indimenticabile con i delfini. Arrivando si approda sull’isola nel porto nuovo, ma si è poi accolti con calore dall’antico e vociante porto romano scavato in un’alta parete di tufo. È straordinario pensare che il molo, le bitte, i magazzini scavati a vivo nella tenera roccia sono gli stessi di duemila anni fa. Immediatamente dietro si arrocca il paese: un antico borgo costruito in epoca borbonica, tra il 1768 e il 1772, e rimasto pressoché intatto, con le sue casette colorate e i suoi due monumenti più importanti, la Chiesa di Santa Candida, patrona dell’isola, e il Forte Torre, oggi sede del Municipio e del Museo Archeologico. Quest’ultimo raccoglie reperti provenienti da recuperi subacquei, ancore in pietra e piombo, anfore di diversa origine e parte del carico di tre relitti, oltre ai resti ritrovati nei vari siti archeologici presenti sull’isola.

01. Ponza 02. Palmarola 03. Zannone 04. Ventotene  – 05. Santo Stefano

05. SANTO STEFANO

Un chilometro appena separa Santo Stefano dalla sorella Ventotene: le due isole, infatti, possono dirsi unite, più che separate, da una piattaforma di collegamento sommersa poco profonda, sommità di un rilievo che risale dagli abissi del Tirreno. Questa isoletta è la più piccola dell’arcipelago, con un perimetro di appena due chilometri, ed è quasi priva di vegetazione. Possiede il destino scomodo dei luoghi impervi: qui, infatti, Ferdinando IV di Borbone vi fece costruire un carcere. L’opera, tra le più originali del Settecento, fu progettata dall’architetto Francesco Carpi e costituisce un esemplare unico di edilizia carceraria. Esperimento per la detenzione perfetta, la sua architettura prende ispirazione dal Panopticon: il carcere ideale progettato dal filosofo e giurista Jeremy Benthan. L’idea è quella di permettere ad un unico sorvegliante di osservare (opticon) tutti (pan) i detenuti. Infatti, la sua caratteristica struttura a ferro di cavallo, con le celle che si affacciano sul cortile, permetteva alle guardie, poste al centro, di vigilare agevolmente. Oggi il carcere non è più in funzione, ma in passato ospitò, accanto agli ergastolani, prigionieri politici del Risorgimento come Silvio Spaventa e Luigi Settembrini. Nel 1900 fu la volta dell’anarchico Gaetano Bresci che, a pochi mesi dal regicidio, venne qui rinchiuso e ucciso. In seguito Sandro Pertini, Mauro Scoccimarro, Umberto Terracini e altri antifascisti popolarono il penitenziario, che sarà definitivamente chiuso il 2 febbraio del 1965. L’imponente struttura versa oggi in uno stato di esecrabile abbandono, nonostante nel 2008 sia stata dichiarata Monumento Nazionale dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e nel 2013 Patrimonio storico-artistico dell’Europa.

La bellezza, l’unicità di questo arcipelago
è anche in questa sua singolare caratteristica:
emerge dal mare e nello stesso momento emerge dal tempo.
Chi vi approda, varca la magica, invisibile
porta di un’altra dimensione
– Folco Quilici –