La rivoluzione perduta dei poeti
Il 19 luglio del 1979, i sandinisti entrano a Managua. Il tiranno, Tacho Somoza, el malo, era fuggito due giorni prima. Fu l’ultima, impensabile Rivoluzione del ‘900: nel Centroamerica, un movimento armato conquistò la libertà in un paese considerato “terra privata” degli Stati Uniti. Fu la Rivoluzione dei poeti. Si dice che in Nicaragua todos son poetas. Qui i poeti hanno sparato, hanno ucciso, sono stati uccisi e hanno fatto parte del primo governo rivoluzionario. Andrea Semplici nel 1980 va in Nicaragua per vedere la Rivoluzione e continua a tornare per raccontare una storia fatta di lacrime e risate, di fallimento e di trionfo, ma soprattutto per farei conti con se stesso. La Rivoluzione perduta dei poeti contiene molti libri in sé e ognuno vive di poesia.
pagg. 368 • Leggi di più sull’autore: Andrea Semplici
Anna Maspero –
“A chi vuoi che importi quel che succede in Nicaragua? A me! A me importa”: è il sottotitolo de La rivoluzione perduta dei poeti di Andrea Semplici. Un libro “impubblicabile”, come lo stesso autore mi aveva confessato non molto tempo fa. Poi quel libro è uscito con il logo Polaris, una casa editrice che iniziò nel 1989 pubblicando guide di viaggio di paesi spesso fuori dai circuiti del turismo organizzato.
Anche La rivoluzione perduta dei poeti è un libro a suo modo fuori dai circuiti, o meglio fuori dai generi letterari: un po’ racconto di viaggio, un po’ saggio, un po’ poesia. Proprio di poesia parla (“Chi è un poeta?” “A cosa serve la poesia? A volte è un’arma…”) e di storie di poeti che hanno usato la penna e la pistola. Parla di ‘900 e di rivoluzioni perdute o vinte, ma poi fallite e abortite (“Sandino aveva un sogno e vi giuro non era questo”… “A cosa è servito tutto questo sangue se tutto è uguale a prima?”). E parla di America, America Latina, Centroamerica, parla del Nicaragua e della sua gente. Parla forse soprattutto di una generazione, quella che nelle rivoluzioni ha creduto e che oggi è ormai vecchia e disillusa. Parla dell’autore che in fondo “ha scritto questo libro per sapere qualcosa in più su di sé”.
La rivoluzione perduta dei poeti è un libro carico di nostalgia per un passato che non è stato. O meglio carico di saudade, parola forse traducibile con “quello che rimane”. E quel che rimane è un senso di vuoto (“E allora? Nulla”), è la percezione di una distanza dalla generazione di giovani che inaspettatamente nel 2018 hanno di nuovo riempito le piazze e le strade di Managua e sono stati uccisi a centinaia da un regime figlio della rivoluzione (“forse le rivoluzioni è meglio perderle”).
È un libro che trasuda amore per un paese dove “a furia di dire che qui sono tutti poeti… tutti si sentono autorizzati a sentirsi poeti”, un paese che i suoi poeti ha amato e rispettato. Il Nicaragua ha segnato la vita dell’autore grazie a delle casualidades, delle coincidenze che l’hanno condotto qui e poi l’hanno spinto a tornare (anche se lui non ama la parola “tornare”), dopo che altre coincidenze l’avevano portato, forse suo malgrado, in Africa e a esplorare altri paesi. Ma forse “las casualidades no existen”.
Consigliato a poeti e nostalgici, viaggiatori e sognatori e naturalmente a tutti coloro che amano l’America Latina.
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